Harrison, vent'anni fa scompariva il chitarrista dei mitici Fab Four: George, The Quiet Beatle

George Harrison, scomparso a 58 anni, il 29 novembre del 2011
di Simona Antonucci
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Lunedì 29 Novembre 2021, 17:51

“The quiet Beatle”, il Beatle silenzioso, anche se così silenzioso non era, ma sicuramente più schivo degli altri. Poche e toccanti le sue ultime parole: “Tutto il resto può aspettare, ma la ricerca di Dio non può aspettare, e amatevi l’un l’altro”. George Harrison, chitarrista dei mitici Fab Four, nato a Liverpool il 25 febbraio 1943 da famiglia proletaria (il padre era un autista di autobus), il più piccolo e timido di quattro figli, si spegneva vent’anni fa, il 29 novembre del 2001 a Los Angeles all’età di 58 anni per un tumore esteso anche al cervello.

Gange

Dopo la cremazione, le sue ceneri furono sparse nel Gange, secondo la tradizione induista. Alla notizia della morte i fan si radunarono davanti gli studi di Abbey Road a Londra per rendergli omaggio. Fu il secondo Beatle ad andarsene, dopo John Lennon, assassinato l’8 dicembre 1980, a New York. George è stato il chitarrista dei Beatles dalla nascita e fino allo scioglimento della band. Per i Beatles ha scritto anche 25 canzoni, ed è stato autore di alcuni successi della band,  come While my guitar gently weeps, Something e Here comes the sun. Abbracciò il misticismo indiano alla fine degli anni 60, contribuendo tra l’altro ad allargare gli orizzonti del gruppo.

Ravi Shankar

Sciolti i Beatles, arrivò subito al primo posto nelle classifiche di mezzo mondo con My sweet lord e nel 1971 organizzò con il musicista indiano Ravi Shankar, il Concerto per il Bangladesh, evento benefico, a cui parteciperanno anche Bob Dylan e Ringo Starr. Il suo nome figura infatti due volte nella Rock and Roll Hall of Fame, come chitarra dei Beatles e nel 2004 per la sua carriera solista. Nel 2011 Martin Scorsese gli ha dedicato il film-documentario George Harrison: living in the material world.

I Quarrymen

L’avventura musicale comincia nel 1958 quando Harrison era giovanissimo, lavorava come elettricista, e i Beatles erano ancora un gruppo skiffle, i Quarrymen.

Nel marzo 1958 quando George bussò la prima volta alla porta dei Quarrymen, aveva appena compiuto 15 anni. Al secondo tentativo convinse John Lennon e Paul McCartney. A 16 anni lasciò la scuola e partì con loro nel primo tour in Scozia nel 1960: a breve sarebbero diventati i Fab Four.

L’interesse per l’India, che matura alla metà degli anni Sessanta, si rifletterà immediatamente nel suo contributo musicale. Basti pensare al sitar in “Norwegian Wood (This Bird Has Flown)” da “Rubber Soul” (il suo album preferito dei Beatles), o all’uso del tambora, un altro strumento della tradizione indiana, in “Tomorrow Never Knows” di Lennon in “Revolver”.

Eric Clapton

George Harrison fu il primo dei quattro a intraprendere una carriera solista, già nel 1968, con la colonna sonora del film “Wonderwall” (“Onyricon” nella versione italiana), nel 1968 insieme a Eric Clapton. Con lui nel 1969, alla vigilia dello scioglimento dei Beatles, suonò spesso dal vivo affiancandolo nel tour di Delaney & Bonnie. Quando i Bleatles si sciolsero, Harrison aveva solo 27 anni. Diede alle stampe lo straordinario “All Things Must Pass”, un album triplo, pubblicato alla fine del 1970 e lanciato dal singolo che diventerà uno dei suoi successi “My Sweet Lord”.

Nel 1973 crea la Material World Charitable Foundation. Nello stesso anno con “Living in the Material World”, e il singolo Give Me Love (Give Me Peace on Earth), George Harrison conquista la vetta delle classifiche. E darà il titolo al documentario di Martin Scorsese che racconta la sua vita e la sua carriera che avrà negli anni Ottanta anche sviluppi cinematografici.

Monty Python

L’amicizia con il gruppo di comici Monty Python lo portò a produrre il film Life Of Brian (1978). L’iniziativa ebbe successo, tanto da indurlo a fondare con il socio Dennis O’ Brien la casa di produzione HandMade Films,  con l’obiettivo di finanziare pellicole dal budget contenuto. 

Bob Dylan

Degli anni Ottanta è anche il progetto Travelling Wilburys, un super-gruppo con Jeff Lynne, Roy Orbison, Bob Dylan and Tom Petty. Nel 1997 la prima diagnosi di tumore alla gola. Nel 1999 l’episodio traumatico della aggressione subita da Harrison e da sua moglie nella loro casa di Friar Park quando uno squilibrato fece irruzione attaccando Harrison con un coltello da cucina, provocandogli 40 ferite da taglio alla testa e a un polmone prima che la moglie riuscisse a bloccare l’assalitore. Nel 2001 infine il ritorno del cancro con una battaglia durata alcuni mesi, tra la Svizzera e New York, fino all’epilogo del 29 novembre a Los Angeles.

Olivia Arias

Accanto a George, fino alla fine, la moglie, che incontrò nel 1974 quando era segretaria dell’A&M Records: Olivia Arias, ventiseienne di origine messicana, da cui ebbe nel 1978 il figlio, Dhani. Prima di Olivia un altro amore importante, la modella Pattie Boyd che incontrò durante le riprese di A Hard Day’s Night, film dei Beatles del 1964 in cui lei faceva la comparsa. Harrison perse la testa, tanto che quando le regalò il suo autografo, scrisse sette baci sotto la propria firma. La prima cosa che le chiese fu se lei fosse intenzionata a sposarlo, ma ricevendo una risposta negativa preferì correggere la richiesta, invitandola a cena con lui. Nonostante lei avesse già un fidanzato, interruppe la relazione per poter uscire con George. E si sposarono.

Don’t Bother Me

Felici e contenti... fino a quando Eric Clapton, da molti anni amico di George, la convinse a lasciare il marito e a fidanzarsi con lui. Molte, tante le cose che si potrebbero scrivere su un personaggio leggendario. Toccante ricordare la prima canzone, ispirata dal desiderio di offrire alle persone, la possibilità di… perdersi: Don’t Bother Me, creata mentre era malato al Palace Court Hotel di Bournemouth, in Inghilterra, nell’estate del 1963. «È stato un esercizio per vedere se potevo scrivere una canzone, non penso che sia una canzone particolarmente bella… Potrebbe non essere nemmeno una canzone, ma almeno mi ha mostrato che tutto quello che dovevo fare era continuare a scrivere, e poi forse alla fine qualcosa di buon o lo avrei scritto».

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