Oggi, 16 novembre, si è svolto nel Ridotto dei palchi ‘Arturo Toscanini’ il convegno “Tosca, primadonna all’opera”, a cura di Franco Pulcini. I principali studiosi internazionali di Puccini si sono confrontati sul titolo inaugurale della prossima stagione, analizzandone aspetti musicali, storici, letterari e politici: ne hanno parlato Michele Girardi, Dieter Schickling, Gabriella Biagi Ravenni Roger Parker, Gabriele Dotto. Con loro era presente Riccardo Chailly, da qualche anno impegnato in un percorso d’approfondimento sui capolavori del grande repertorio operistico italiano.
«Ho grande riconoscenza nei confronti di casa Ricordi e in particolare di Roger Parker – ha esordito Chailly. - Devo a lui la chiarezza e l’indiscutibile determinazione di stampare l’esatto desiderio originale di Puccini. A Milano ascolteremo la versione di Tosca del 1900, che alla Scala andò in scena due mesi dopo la prima assoluta, avvenuta al Costanzi di Roma». Il maestro ha proseguito raccontando anche l’impatto di questa scelta durante le prove in corso. «Stamattina, alla fine del secondo atto, c’era molto stupore e sorpresa per battute che non avevano mai sentito né pensato che esistessero: ad esempio, dopo il famoso “Vissi d’arte”, che non conclude, ma è un dialogo tra Scarpia e Tosca, molto interessante anche dal punto di vista armonico. Questa è solo una delle tante piccole differenze rispetto alle edizioni precedenti».
Tosca sarà quindi proposta nell’edizione critica di Roger Parker grazie ad una collaborazione virtuosa con la ricerca musicologica. «La Tosca che ascolterete è quella che tutti amiamo, ci sono tutti i numeri che compongono questo capolavoro. Ho diretto Tosca vent’anni fa ad Amsterdam, ma oggi l’ho ristudiata in modo completamente nuovo, perché l’edizione di Parker impone un radicale ripensamento: la scelta dei tempi, l’attenzione al fraseggio, alle dinamiche».
Il maestro ha poi accennato all’impostazione registica di Livermore. «Non mancheranno i luoghi nei quali l’opera è ambientata: Sant’Andrea della Valle, Palazzo Farnese e Castel Sant’Angelo. Livermore è un regista che sorprende l’ascoltatore: ci saranno elementi comuni, ma anche di sorpresa, che possono mettere in discussione le nostre aspettative».
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