Sir Pappano: «Un anno sabbatico, sarò Maestro dei giovani»

Il maestro Antonio Pappano
di Simona Antonucci
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Sabato 27 Aprile 2019, 16:20 - Ultimo aggiornamento: 28 Aprile, 21:27

Dal 2002 è il direttore principale del Covent Garden di Londra. Dal 2005 dirige anche l’Orchestra romana di Santa Cecilia. Dal 1995 è sposato con la musicista americana Pamela Bullock. Antonio Pappano è un uomo fedele “nei secoli”. Italo-britannico (nato in Inghilterra da genitori italiani emigrati), 59 anni, baronetto, è costante anche nell’abbigliamento (camicia scura alla coreana) e nell’acconciatura dei capelli, mai troppo corti.
 

 


«Un rapporto», spiega il maestro, «ha bisogno di tempo per andare aldilà delle prime esperienze. Per costruire servono lealtà e continuità. Ma anche fughe. Ora sento il bisogno di riaprirmi al mondo. Voglio incontrare altre orchestre. Dal Covent Garden prenderò un anno sabbatico, per dedicarmi anche ai giovani. Maestro, significa anche insegnante».

Fino a domenica 28 aprile, è sul podio dell’Accademia al Parco della Musica per dirigere l’Ottava Sinfonia di Bruckner («Una cattedrale») e dal 13 maggio sarà di nuovo in tournée con l’orchestra di Santa Cecilia: sei città (Vienna, Praga, Dresda, Fliburgo, Essen, Londra), otto concerti («due programmi impegnativi»).

Con tutti i problemi delle fondazioni italiane, scioperi, contratti a termine bloccati, non le è mai venuta voglia di dire basta?
«Andare via no, ma è veramente assurdo. Nella tournée precedente, senza aggiunti, abbiamo dovuto sostituire la Sesta Sinfonia di Mahler con la Nona. Ma non tutti i teatri accettano cambi di programma, a Vienna, per raggiungere l’organico, dobbiamo contare su dei musicisti, bravissimi sicuramente, con cui però potremmo provare due ore, se siamo fortunati. Un’orchestra che suona all’estero va considerata come un’ambasciatrice della cultura italiana. Andrebbe rispettata. A dicembre ci hanno promesso che stavano lavorando su una legge per risolvere questa paralisi. Dov’è?».

Problemi, ma anche grandi soddisfazioni: il premio Abbiati come migliore direttore per l’esecuzione dell’Integrale delle Sinfonie di Bernstein e
West Side Story con l’orchestra di Santa Cecilia.
«Fiero dei miei musicisti. Un omaggio sentito, da parte di tutti, al compositore che è stato un punto di riferimento per Santa Cecilia. E sono contento anche perché
“West Side Story tocca argomenti che potrebbero stare sulle pagine dei giornali di oggi: razzismo, pregiudizio, intolleranza».

Per restare ad argomenti di cronaca: la Brexit che effetti produrrà sulla musica?
«Gravissimi. Un teatro vive di talenti internazionali. Spesso capita di dover chiamare, per una sostituzione in giornata, artisti in tutta Europa. Stanno studiando delle clausole per sveltire i permessi, ci hanno promesso una soluzione. Ma è tutto fermo e la frustrazione peggiore è che nessuno sa come andrà a finire».

Introduca il concerto romano di questa sera e di domani.
«Bruckner è stato un compositore solitario, non attraente, forse non ha mai conosciuto l’amore. Un piccolo uomo con delle idee enormi, come l’Ottava sinfonia. Credenti o non credenti, è impossibile resistere alla potenza della sua musica».

Lei è credente?
«Non vado a messa, ma sento l’anima piena di spiritualità».

Per i concerti europei che programmi ha scelto?
«Mahler, la Sesta, gioiosa e dolorosa, piena di umanità. Il ruvido e possente Mussorgsky di “Una notte sul Monte Calvo”, l’esotismo di “Sheherazade” di Rimskij-Korsakov. E il concerto per violino n.1 che Bartok scrisse per un’allieva di cui era innamorato, stupendo».

Lei dirige spesso a mani “nude” e ha detto scherzando, di aver capito solo recentemente come si usa la bacchetta. Un vezzo?
«A un certo momento si è instaurato un rapporto naturale tra il mio braccio e la bacchetta. E sento che non mi serve più riempire tutto lo spazio con il movimento. Non c’è un solo modo per dirigere, l’importante è arrivare al risultato, all’emozione».

Nel suo percorso di studi non c’è un diploma al conservatorio. Un vanto? Un vuoto?
«Ho avuto grandi maestri e figure fondamentali che hanno cambiato la mia vita, come Barenboim. E mio padre che suonava il pianoforte, adorava l’opera italiana e mi ha trasmesso l’amore per la musica. Mi è mancata l’esperienza sociale, lo scambio con i coetanei».

Anche quest’estate terrà il concerto in memoria di suo papà nel paese di origine, Castelfranco in Miscano?
«Certo. Dirigerò l’Orchestra della Filarmonica di Benevento. Sono così fiero di loro. E poi l’Orchestra Giovanile di Fiesole. Mi piace dedicare del tempo ai nuovi talenti».

Rivendica l’importanza della gavetta?
«Ti fa crescere nel mondo reale».

Il suo mondo è fatto di sala prove, aerei, cene di rappresentanza. Non crede che sua moglie, per starle vicino, abbia dovuto rinunciare a delle opportunità?
«Eravamo entrambi maestri sostituti. Certo, ora lei lavora meno. La nostra vita è influenzata da un uragano di impegni. Non solo concerti, ma anche marketing, mecenatismo. Ma lei ha un suo progetto, insegna, qualche volta mi aiuta. E fa dei viaggi meravigliosi».

C’è un’eroina lirica l’ha fatta innamorare?
«Puccini ha dipinto le sue creature con morbidezza. E poi le ha anche torturate. Minnie, Suor Angelica, sempre calate in situazioni estreme. Madama Butterfly mi toglie il fiato per il coraggio. Le amo, anche se ho bisogno di tradirle con le protagoniste mozartiane. Quel loro chiaroscuro aiuta a sopravvivere».

Un vino che l’ha fatta innamorare?
«Chateau Rayas, uno Châteauneuf-du-pape. L’ho bevuto solo una volta. Felice anche con il Verdicchio che mi hanno servito ieri a pranzo ad Anzio. E la Vodka dopo il concerto a Mosca».

Che cosa manca alla sua carriera? Un nuovo teatro?
«Riposo, tempo per me». 

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