«In questo momento storico ognuno deve prendersi le proprie responsabilità, è una tendenza generale quella di affrontare temi sociali e politici anche nei festival», rivendica Mario Ciampà, direttore della manifestazione, che ha presentato la rassegna pensata per sottolineare come il jazz sia nato e si sia sviluppato come musica di immigrazione e di integrazione, come sia stata strumento per rivendicare diritti civili, come abbia abbattuto e superato confini stilistici e sociali, grazie alle contaminazioni e alle sperimentazioni.
Calendario fitto, con artisti affermati e giovani emergenti. Icone della storia del jazz come Archie Shepp, Abdullah Ibrahim, Dave Holland, Ralph Towner e Gary Bartz ma anche i più interessanti esponenti della nuova scena come Kokoroko, Moonlight Benjamin, Donny McCaslin, Maisha e Cory Wong, in grado di far scoprire il jazz alle generazioni più giovani.
Le grandi protagoniste femminili come Dianne Reeves e Carmen Souza al fianco dei talenti più recenti come Linda May Han Oh, Elina Duni e Federica Michisanti. Le esplorazioni mediterranee e asiatiche dei Radiodervish (ai quali è affidata l'apertura il 1 novembre all'Auditorium, in contemporanea ai Kokoroko al Monk), Tigran Hamasyan e dell'ensemble Mare Nostrum con Paolo Fresu, Richard Galliano e Jan Lundgren da un lato (che chiuderanno la manifestazione il 1 dicembre) e le contaminazioni linguistiche di Luigi Cinque con l'Hypertext Òrchestra dall'altro.
Il batterista anti-Trump Antonio Sanchez e il suo jazz ai tempi del sovranismo e la nostalgia migrante raccontata in musica dalla Big Fat Orchestra. Il tributo a Leonard Bernstein di Gabriele Coen e il pantheon jazz evocato da Roberto Ottaviano.
«I musicisti che abbiamo chiamato - sottolinea Ciampà - sono stati scelti anche per il loro impegno sociale e civile».
Il tema dell'abbattimento delle barriere sarà ribadito anche dall'installazione di Alfredo Pirri: una struttura trasparente che dividerà in due la Cavea, ma che potrà essere continuamente attraversata dal pubblico, in un ribaltamento del concetto del muro. «Continuiamo a lavorare per una Roma che sia sempre di più capitale mondiale della musica - tiene ad aggiungere Josè Dosal, amministratore delegato di Fondazione Musica per Roma -. La decisione di portare la manifestazione in più luoghi ha l'obiettivo di raggiungere diverse fasce di pubblico».
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