Oliver Onions, i fratelli Guido e Maurizio De Angelis: «Ciao Bud Spencer, siamo tornati per te»

Oliver Onions, i fratelli Guido e Maurizio De Angelis: «Ciao Bud Spencer, siamo tornati per te»
di Andrea Scarpa
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Domenica 24 Giugno 2018, 21:46 - Ultimo aggiornamento: 15 Luglio, 22:09

Si chiamano Guido e Maurizio De Angelis, sono nati 73 e 71 anni fa a Rocca di Papa, a due passi da Roma, e a guardarli bene, a questo punto, è probabile che vi stiate chiedendo perché parliamo di loro. Bene. Negli Anni 70 questi due signori hanno venduto più di 30 milioni di dischi componendo le più famose colonne sonore di film e telefilm di quel periodo.
 



Nome d'arte: Oliver Onions. Sono loro successi come Orzowei, Santa Maria, Sandokan, Furia cavallo del West (interpretata da Mal nel 77), Zorro Is Back, Dune Buggy, Flying Trough the Air, Gatto Doraemon, Galaxy Joe, Il corsaro nero, Quoi (cantata nel 1986 da Jane Birkin, testo del marito Serge Gainsbourg) e via cantando.

Con il passare del tempo i De Angelis passarono a occuparsi di produzione televisiva, anche in questo caso con buoni risultati: Elisa di Rivombrosa, Incantesimo, Luisa Sanfelice, Shaka Zulu, Ferrari, Il Papa buono, Titanic-nascita di una leggenda... Dopo anni di assenza dalle scene il 29 novembre 2016, davanti a diecimila persone, i due fratelli hanno tenuto un concerto a Budapest per ricordare l'amico Bud Spencer, morto pochi mesi prima. Un successone. Che bisseranno il 1° luglio all'Auditorium di Roma.

Ci avete (ri)preso gusto?
Guido - «Sì. Ormai all'altro lavoro (produttori tv, ndr) - ci pensano i nostri figli. Adesso ci piacerebbe fare un tour».

Quando e come avete iniziato?
G - «Da ragazzini. Come arrangiatori di Lucio Dalla, Gabriella Ferri, Nicola Di Bari. Poi Nino Manfredi ci chiese di comporre le musiche del film Per grazia ricevuta e iniziammo a lavorare per il cinema. Fu la svolta».
Maurizio - «Per lui, poco prima, nel '71, arrangiammo Tanto pe' canta', che presentò con enorme successo a Sanremo. A dirigere l'orchestra c'ero io. Esperienza bellissima».

Da ragazzini che sogni facevate a Rocca di Papa?
G - «Tutti a base di musica: rock e country, le novità di quegli anni».
M - «Eravamo incoscienti e sicuri di farcela. Per fortuna, mamma e papà che di sicuro non erano ricchi non ci ostacolarono mai, anzi».
Perché vi siete dati il nome Oliver Onions?
G - «L'Italia di quegli anni era esterofila. Decidemmo di chiamarci così per un motivo semplicissimo: si legge come si scrive. La versione colta è che George Oliver Onions era uno scrittore inglese dell'800...».
M - «All'inizio i nostri pezzi volevamo farli cantare a qualcun altro, ma non trovavamo mai quelli giusti... e così ci buttammo. L'inglese Susan Duncan Smith, discografica della Rca di Roma, ci aiutò con la pronuncia. Gli americani e i britannici non abboccavano, ma gli altri sì. Nel '73 con Flying Through the Air, pezzo della colonna sonora di Più forte ragazzi con Terence Hill e Bud Spencer, rimanemmo al primo posto della classifica tedesca per 4 mesi. La Lufthansa lo scelse come inno per gli spot a pubblicitaria dell'epoca».
E qui da noi?
M - «Con Dune Buggy nel 74 finimmo al primo posto. I discografici non volevano svelare la nostra identità, non subito almeno, così molti pensarono che fossimo statunitensi».
I critici nel frattempo vi facevano a pezzi.
M - «Certo. Ci accusavano di essere commerciali. In quegli anni c'erano cantautori che facevano rifare le basi di batteria perché temevano che potessero sembrare troppo da hit parade. Capito che aria tirava?».
Certo. Negli anni '70, però, pubblicaste centinaia di dischi: non avete esagerato?
M - «Ci arrivavano offerte da tutte le parti, eravamo entusiasti, e non ci risparmiammo. Per fare un disco al mese lavoravamo giorno e notte. E per non inflazionare il mercato adottammo altri pseudonimi (Dilly Dilly, M&G Orchestra, Barqueros, Hombres del Mar, ndr). Rifarei tutto, però. Mi dispiace solo per la scarsa considerazione della critica. Noi volevamo arrivare ai cuori della gente».
G - «Qui abbiamo sempre avuto meno successo. Altrove invece, dal '72 all'80, con gli Abba ci siamo contesi i primi posti soprattutto in Germania, Austria, Svizzera, Olanda e Danimarca».
In quegli anni si sperimentava di tutto: mai provato droghe, fatto sesso di gruppo, vissuto in una comune?
G - «Per carità. Siamo burini, gente semplice».
Nel '77 scriveste anche Furia cavallo del West: perché poi la cantò Mal?
M - «Avevamo contemporaneamente in classifica Orzowei e Sandokan, due successi incredibili. Un po' troppo».
G - «A Mal, che da anni dice che quella canzone gli ha rovinato la vita, perché lo ha etichettato per sempre come cantante per bambini, vorrei ricordare che noi eravamo già d'accordo con Drupi. Fu lui, fuori dallo studio, che ci chiese di farla a tutti i costi. Lo accontentammo, perché lo conoscevamo dai tempi del Piper, facendo una figuraccia con Drupi».
Perché nell'80 vi siete fermati?
G - «Il mio primogenito, Nicola, nacque quell'anno. I primi sette mesi della sua vita lo vidi una ventina di volte. L'ultima si mise a piangere. Così andai da Maurizio e gli dissi: Se questo figlio non mi vede mai, chi diventerò per lui?. Decidemmo di smettere».
M - «Chiudemmo con i concerti spesso fatti anche negli stadi e ci mettemmo a scrivere solo colonne sonore. E poi le produzioni cine-tv».
Nel 2007 Guido finì in alcune intercettazioni mentre Berlusconi parlava di attrici da raccomandare, strategie di lavoro...
G - «Si parlava di lavoro e basta. Tanto imbarazzo per niente».
Berlusconi vi ha mai chiesto una canzone?
G - «No».
Vi è stato mai chiesto di realizzare un inno politico?
G - «Mai. Ce lo chiesero per i Mondiali di calcio del '90. Lo scrivemmo, ma poi lo realizzò Giorgio Moroder. Quello stesso anno entrammo anche nella prima selezione per le candidature all'Oscar con Another Part Of Life Has Gone, composta per il film Dance To Win».
Dal punto di vista dei diritti d'autore qual è la canzone che vi ha dato di più?
M - «Sandokan, Santa Maria e Verde, un pezzo strumentale rifatto in 56 versioni. Ma rispetto a prima, adesso arriva poco».
L'occasione d'oro che avete perso?
G - «Dopo Sandokan il presidente della Rca ci invitò a New York per offrirci mille progetti. Ci chiese di stabilirci là almeno due anni...».
M - «... ci pensammo un po' e poi decidemmo di rimanere a Rocca di Papa. La famiglia è la famiglia. Nessun rimpianto».
Andrea Scarpa
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