Negramaro: «Eccoci, uguali ma diversi. In attesa del nostro Circo Massimo»

Negramaro: «Eccoci, uguali ma diversi. In attesa del nostro Circo Massimo»
di Mattia Marzi
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Venerdì 13 Novembre 2020, 09:45

La mente è già alla prossima estate. In ballo ci sono un tour negli stadi e un concerto-evento al Circo Massimo di Roma per festeggiare - con un anno di ritardo, causa pandemia - il ventennale della band. Tutto dipenderà dall’evolversi dell’emergenza epidemiologica: «Allo stato attuale non abbiamo ancora firmato contratti. Speriamo di esserci al Circo Massimo. È frustrante pubblicare un disco senza suonarlo dal vivo», dicono i Negramaro. Ieri sera, intanto, il gruppo ha fatto il suo esordio nel mondo dei live in streaming con Entra in contatto, sofisticato evento virtuale - con la direzione creativa dei designer milanesi di Giò Forma, già con Jovanotti, Vasco, Ferro etc. - che tra effetti speciali e immagini 3D ha visto Giuliano Sangiorgi e soci presentare il nuovo album Contatto (in vendita da oggi) ai fan che lo avevano preordinato.

Il disco è il primo pubblicato dai Negramaro dopo l’emorragia cerebrale, nel 2018, del chitarrista Lele Spedicato.

La ripresa è stata lenta e complessa: «Se oggi siamo qui è grazie alla sua tenacia», racconta Sangiorgi.

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Cosa ricorda di quel periodo? «Il dolore e l’amarezza. Furono mesi logoranti. Quando Lele tornò gli dissi: “Grazie per non averci cambiato la vita”».

Vi sareste sciolti? «La band non lo so. Di sicuro avrei smesso di cantare, magari mi sarei dedicato solo alla scrittura. Avevo già avvisato la mia compagna: “Torniamo a Lecce. Senza Lele mi fermo qui”. Alla fine del tour che facemmo senza di lui ebbi un crollo psicologico».

Come lo superò? «Con la musica. Entrai in studio e scrissi Noi resteremo in piedi, poi scelta per aprire il disco. È un punto di ripartenza anche personale».

Perché? «Compiuti i 40 anni mi sono domandato: “Sono un uomo o solo un cantante?”».

E che risposta si è dato? «Voglio approfittare del mio status d’artista per dire ciò che penso come uomo, raccontare il mio punto di vista sulla politica e l’attualità. Mi dicono: “Sei un cantante, canta”. Ora a 40 anni canto di quello che voglio. In Dalle mie parti parlo di barriere, razzismo e immigrazione. In Noi resteremo in piedi campiono le voci dei manifestanti di Black lives matter».

Non sarà mica una trovata opportunista? «Invito gli altri a essere furbi come me parlando di migranti e attualità. Se sei sincero, non devi aver paura di essere frainteso».

Non ha paura delle critiche? «Ai politici che non la pensano come me dico: “Rispondetemi, se siete capaci di farlo, con una canzone. Non con un tweet”».

E il duetto con Madame, più giovane di lei di vent’anni? Fa quello attento alle nuove leve? «La vera malattia dei nostri giorni è la paura di invecchiare della mia generazione. Io lo faccio con onestà. E se voglio duettare con qualcuno del giro indie o rap scelgo Madame (incide per Sugar, la stessa etichetta dei Negramaro, ndr) perché a 18 anni scrive testi di uno spessore diverso rispetto ai suoi coetanei. Non faccio come altri colleghi - non faccio nomi - che nelle canzoni parlano di cose adolescenziali».

Anche i Negramaro vengono dall’indie. «Sì, ma non quello da streaming o da salotto. Noi dovevamo spaccarci la schiena: 200 concerti all’anno prima di Sanremo».

Voi che numeri fate sullo streaming? «Buoni. Siamo tra i pochi della nostra generazione ad andare bene sia nel fisico che nel digitale. Amore che torni, l’ultimo disco, ha fatto 120 milioni. Per i trapper è tutto più semplice: fanno grossi numeri in streaming, ma pochi concerti».

Rimpianti? Non aver vinto Sanremo? «No. Nel 2005 avevamo solo bisogno di una vetrina per farci conoscere. Oggi in gara non voglio tornarci: non riuscirei ad accettare la competizione».

E il fatto di non essere riusciti ad avere successo all’estero? «Non ci abbiamo mai provato. Il nostro posto è l’Italia».

Quindi zero rimpianti? «Siamo stati la prima band italiana a fare San Siro e l’Arena di Verona. Abbiamo vinto dischi di diamante e multiplatino. È una domanda che ancora non mi sono fatto».

Nel 2018 è diventato papà. A Stella dedica “Devi solo ballare”: che padre è? «Meno presente di quanto vorrebbe. Sto spesso in giro per lavoro. Quando sono a casa cerco di darle più amore possibile». Il matrimonio è nei progetti? «Siamo già una famiglia. Forse io e Ilaria (Macchia, sceneggiatrice legata a Sangiorgi da anni, ndr) ad un certo punto avremo solo bisogno di formalizzare la nostra unione. Cambierà poco».

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