Miles Davis, “Four” fa 65 anni: i misteri di un pezzo cult

Miles Davis
di Leonardo Jattarelli
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Martedì 5 Giugno 2018, 19:07 - Ultimo aggiornamento: 26 Giugno, 09:05
Forse quella sera era riuscito a sottrarsi all’estasi dell’inferno in vena. Anche se aveva solo 27 anni, il fisico ogni tanto doveva ritrovare il giusto equilibrio. Quella notte del 1953, esattamente 65 anni fa, Miles Davis “disegnò” sullo spartito note di un’allegria sconfinata; una sorta di vademecum dell’esistenza fatto di punti certi, di comandamenti incrollabili, di consigli a se stesso e all’umanità che forse nascondevano il desiderio di rispettarli e farli rispettare, quei comandamenti. L’America era in piena Guerra Fredda, il maccartismo mieteva vittime mentre di lì a poco la rivoluzione cubana avrebbe squassato le granitiche certezze di un equilibrio politico mondiale. 


E Miles Davis, il ragazzo nero innamorato di Charlie Parker e Dizzy Gillespie, di Art Blakey e Sarah Vaugan, il compagno trombettista di Thelonious Monk, diede vita a quello che rimarrà uno dei pezzi più belli e misteriosi della storia del jazz. Il titolo? “Four”. «Di tutte le cose meravigliose che ottieni dalla vita/ Ce ne sono quattro/e potrebbero non essere molte/ ma nessuno ne ha bisogno di più/ Tra le tante cose che compongono la vita/la verità prende il comando/E' la verità che ti serve/Di seguito, la seconda è l’onore, mentre la felicità è la numero tre/E c’è una cosa in più/che è un meraviglioso, meraviglioso amore/ e sono quattro….»




Il pezzo che esce da quella tromba è uno scoppiettio continuo di felicità, un pezzo da grande orchestra o anche semplicemente da solista, come sarebbe stato per Chet Baker o infine capolavoro da duettare, magari insieme con John Coltrane. Eppure Miles stava vivendo il periodo più nero della sua dipendenza dall’eroina. Ecco il primo mistero di “Four”; quella felicità che non era la sua, lui la metteva su carta; quell’onore che perdeva ogni santo giorno nei confronti di se stesso iniettandosi il veleno, era ciò che più ricercava per redimersi, per uscirne. Ma se ascolti quel pezzo ti sembra di raggiungere il paradiso e non c’è versione di “Four” tra le tante che si avvicenderanno nel tempo, che sia uguale a se stessa al di là del refrain: ogni improvvisazione, che abbia il sapore dello swing o quello del cool o ancora del free jazz e infine della “canzonetta” che fu il pezzo forte di Anita O’Day, non rimanda mai all’originale, neanche per qualche nota.

Quando “Four” uscì dalle quattro mura della stanza di Davis e iniziò a fare il giro dell’America, in quell’immenso girovagare tra band e locali e orchestre e piccoli club, intercettò anche l’orecchio di un altro musicista di colore: il suo nome era Edward L. Vinson Jr., per il pubblico Eddie Wilson, per gli amici Eddie “Cleanhead” (Eddie Testapulita) ; Eddie amava lisciarsi i capelli ma un giorno se li stirò al “ferro” in maniera talmente ripetuta che presero fuoco e non ne rimase più neanche uno.
Ebbene non appena Eddie “Cleanhead”, un sassofonista dolce e roccioso che proprio in quell’anno (i casi del destino) scritturò nella sua band il giovane Coltrane, l’amico più caro di Miles Davis, ascoltò il brano, non ebbe dubbi: quel “Four” era un suo pezzo, un suo spartito che probabilmente Davis aveva ascoltato da qualche parte e del quale si era appropriato accaparrandosene i diritti. Ecco che “Four” si ammanta ancora più di mistero anche se, dopo la pubblicazione dell’album “Miles Davis Quartet”, nessuno ebbe mai dubbi che quel “Four” potesse essere di qualcun altro se non di Davis.



Ma che motivo avrebbe avuto un musicista così esperto e ormai consacrato come Eddie Vinson a reclamare i diritti di un pezzo che ancora non era diventato un cult? Lui, che a 29 anni aveva già una propria orchestra, che aveva già pubblicato per la Mercury Records, che arriverà a suonare con Count Basie? Nessuno potrà mai offrire una risposta. 
A sessantacinque anni di distanza, quel delirio di gioia che è “Four” rimane ancora senza un padre certo. Eppure il testo era nato proprio per fugare ogni dubbio su come dovrebbe essere la vita. E soprattutto il primo imperativo, la verità: “…Of the many facts making the list of life/ Truth takes the lead/And to relax knowing the gist of life/it’s truth you need”.
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