Mario Biondi: «Sulla musica italiana sono stato frainteso, Selvaggia Lucarelli fomenta gli haters»

Mario Biondi: «Sulla musica italiana da sostenere sono stato frainteso, Selvaggia Lucarelli fomenta gli haters»
di Mattia Marzi
5 Minuti di Lettura
Mercoledì 21 Aprile 2021, 13:50 - Ultimo aggiornamento: 13:51

Sovranista, incoerente, ridicolo, rosicone. Mario Biondi non ci sta. Gliene hanno scritte di tutti i colori dopo il post con il quale all'inizio di questa settimana ha invitato il pubblico a boicottare le radio che non passano musica italiana. Contro il cantante si è scagliata anche l'opinion leader Selvaggia Lucarelli: «Mario Biondi nuova bandiera del sovranismo, lui che non ha mai cantato una canzone in italiano in vita sua, manco sotto la doccia», ha scritto ai suoi 1,5 milioni di follower su Facebook. La replica del soulman è durissima: «Selvaggia Lucarelli è una fomentatrice di haters. E ha scritto inesattezze: ho cantato anche in italiano, nel corso della mia carriera. Ma il punto non è questo. Sono stato frainteso», dice a Il Messaggero Biondi, che tira in ballo colleghi e direttori artistici delle principali radio italiane.

Mario Biondi: «Boicottate le radio che trasmettono musica straniera». Insulti social: «Ma non canti in inglese?»

Perché è stato frainteso?

«Non ho mai parlato di musica in italiano nei miei post. Ho parlato di musica italiana, che è ben diverso».

Che differenza c'è?

«Quando parlo di musica italiana non mi riferisco solo alle canzoni cantate in italiano, ma anche a quelle di chi, come nel mio caso, canta principalmente in inglese ma con i suoi dischi dà un contributo alla filiera nazionale.

In Francia, nel Regno Unito e in America il prodotto interno viene sostenuto: perché da noi no?».

Da cosa nasce il suo sfogo?

«La musica sta patendo a causa della pandemia. Questo fine settimana a Roma abbiamo visto i Bauli in Piazza protestare perché i concerti sono fermi da più di un anno. Le radio italiane potrebbero cogliere l'occasione per sostenere la musica nazionale in questo momento, fare qualcosa di utile e necessario per la filiera. Invece continuano imperterrite a passare hit internazionali, fregandosene».

Sono riflessioni condivise dai colleghi?

«Sì. Se parli con il 90% degli artisti italiani, ad eccezione di quelli che oggi sono in cima alle classifiche, ti dicono che i radiofonici sono poco accoglienti, a volte anche stronzi. Oltre agli insulti degli ignoranti e dei frustrati ho ricevuto anche bei messaggi da parte di colleghi».

Chi?

«Non posso fare nomi, ma le posso leggere quello che mi hanno scritto: 'Ci tengo a dirti che ho apprezzato molto il tuo post. Purtroppo molta gente è talmente schiava del sistema da vedere il marcio dietro proposte nobili e voltarsi invece dall'altra parte davanti all'80% dei giochi sporchi'. E ancora: 'I francesi lo hanno già fatto ottenendo uno straordinario risultato. E noi? Vedremo. Li ho salvati».

Tra questi ci sarà sicuramente il suo amico Renato Zero, che ha recentemente lanciato un appello simile al suo: "Abbiamo visto i nostri De André, Guccini e Lauzi finire nel dimenticatoio perché le radio hanno perso il buonsenso di dimostrare che questo paese ha cantato molto alto. L'immondizia lasciatela agli americani o agli inglesi: nel loro paese trattano solo musica di altissima qualità e a noi ci mandano lo spezzatino", ha detto.

«Renato ha ragione. Infatti con lui mi sono sempre trovato bene. Se c'è da mandare a quel paese, lo fa senza giri di parole. Ha parlato di grandi autori che hanno costruito le fondamenta di questa nostra canzone italiana. Noi italiani non siamo capaci di mantenere vive le nostre radici e la nostra storia musicale, a differenza di altri paesi come gli Usa o il Brasile dove i grandi del passato vengono considerati sempre vivi e attuali. Quando esce un nuovo disco di Baglioni, un cantautore con una storia importantissima, diciamo: 'Ancora? Fa sempre la stessa canzone'. Basta: smettiamola di denigrare i grandi».

Non ha paura di essere considerato retrogrado e passatista?

«Non lo sono. A me dispiace leggere interviste di colleghi della mia generazione che si scagliano contro la trap: 'È immondizia, fa schifo'. Sbagliano. La trap ci deve essere nelle programmazioni, perché esiste ed è un movimento dei giovani: noi della vecchia scuola non possiamo permetterci di giudicare. Però sono convinto che questi colleghi sarebbero meno arrabbiati se ci fosse spazio anche per loro».

Ha provato a confrontarsi con i direttori artistici delle radio prima di pubblicare quel post?

«Sì. Ho chiesto di supportarci. Ma le mie parole sono cadute nel vuoto».

Chi ha chiamato?

«Io ho avuto un confronto diretto con Linus di Radio Deejay: 'Ma perché non suonate il mio ultimo singolo?'. Mi ha «risposto che non rientrava negli standard della sua radio. Secondo me non lo aveva neppure ascoltato. Il pezzo era 'Cantaloupe island', remixato da un dj brasiliano, Meme. Radio Deejay non passa quel tipo di musica? Ma da quando? Cosa mi sono perso?».

Non è che ha il dente avvelenato con le radio italiane perché in questo momento non è in classifica? Se il suo singolo fosse stato tra i più programmati avrebbe polemizzato?

«Rosico perché non vengo sostenuto. La cosa che mi fa arrabbiare è la loro ignoranza. Non chiedo l'istituzione di quote tricolori, come la proposta di legge di due anni fa, poi finita del dimenticatoio: non penso ci sia bisogno di mettere le manette alla gente per fargli capire che possono fare del bene alla filiera nazionale».

Però fino a poco fa le radio l'hanno sempre sostenuta: è a loro che deve molto del suo successo e i primi posti in classifica dei suoi dischi.

«La carriera di un cantante è fatta di salite e discese. Io non pretendo di essere sempre nelle hit parade, non canto per questo. Ma vorrei essere sostenuto dalle radio del mio paese. Perché quando vado all'estero mi accolgono a braccia aperte e in Italia i direttori artistici mi rispondono: 'Questo pezzo è troppo jazz, questo troppo soul, non va bene'? Il loro atteggiamento mi sembra poco costruttivo. Poi arriva l'ultimo fenomeno inglese e gli stendono i tappeti rossi».

Non ha mai pensato di aprire una radio tutta sua?

«A stento ho voglia di fare il cantante ora, figuriamoci se mi metto ad aprire una radio».

Non teme ritorsioni da parte dei network, ora?

«Se dopo questo appello smetteranno di passarmi me ne farò una ragione. Continuerò a vivere di concerti, come ho sempre fatto».

Video

© RIPRODUZIONE RISERVATA