Luca Barbarossa: «I miei primi 60 anni fra pericoli e canzoni»

Luca Barbarossa: «I miei primi 60 anni fra pericoli e canzoni»
di Andrea Scarpa
5 Minuti di Lettura
Lunedì 12 Aprile 2021, 10:25 - Ultimo aggiornamento: 18 Febbraio, 21:24

La dedica a moglie e tre figli in testa, i ringraziamenti a manager, editor e casa editrice in coda. In mezzo, la storia della sua vita: intensa, varia e credibile, grazie anche al tono ironico che allontana l'effetto Manuel Fantoni a volte in agguato. Luca Barbarossa domani pubblica l'autobiografia Non perderti niente, che arriva due giorni prima del suo sessantesimo compleanno (il 17 aprile festeggia anche l'anniversario di matrimonio), 180 pagine in cui racconta gli inizi da musicista di strada in giro per il mondo, la fidanzata eroinomane, l'ingaggio rifiutato in un circo spagnolo, i problemi a scuola, le canne, la naja evitata all'ultimo momento, il cineforum nella sezione del Pci, le canzoni, Sanremo, il successo, gli incontri importanti (Panatta, Venditti, Springsteen...), la radio (Radio 2 Social Club) e via cantando (e scrivendo).
Anche lei un libro: era proprio necessario?
«E dai... Lo so, potevo passare alla Storia come l'unico cantautore italiano a non aver scritto un libro, ma alla fine ho ceduto anch'io. Mi piaceva dare unidea più completa di quello che sono davvero. Prometto che il prossimo lo farò a 120 anni».
E chi è davvero?
«Un uomo fortunato, spesso in debito con la vita e il prossimo, ma anche un insoddisfatto perenne sempre pronto a imboccare strade nuove».
È stato faticoso ricordare?
«È stato facile, quasi sempre piacevole, a volte doloroso. Come all'inizio quando racconto di Sophie, il mio primo grande amore finito male per colpa dell'eroina».
Male come?
«Ci siamo lasciati in maniera traumatica, anche se poi, cresciuti, ci siamo rivisti. È stata una storia bella e triste, ma utilissima. Ho visto da vicino cosa succede quando ci si perde davvero».
Lei si è mai perso?
«Mi sono sempre ripreso per i capelli. Sapevo che la vita mi aveva regalato tanto: il talento di saper suonare, scrivere e cantare. Così, anche nei periodi di sconforto, mi sono sempre ritrovato».
Dica la verità: il libro l'ha scritto lei?
«Sì, tutto io. Però mi ha dato una mano una giornalista molto brava come Simona Orlando».
Il titolo Non perderti niente a chi è rivolto?
«Ai miei figli e ai giovani in generale. Raccontando la mia vita piena di sogni, avventure e cazzate, ho capito ancora di più quante cose vere e meravigliose le nuove generazioni si perdono vivendo sempre incollati al telefonino. Meglio la fisicità dell'esistenza. Certo, dirlo adesso in piena pandemia...».
Cosa l'ha sorpresa di più in quest'ultimo anno?
«La calma e la freddezza con cui i miei figli di 11, 18 e 21 anni hanno affrontato le rinunce di questo periodo. Io alla loro età non ne sarei stato capace».
Seguiranno le sue orme?
«Non lo so. Ascoltano buona musica e suonano chitarra e piano».
Parlava di cazzate: la più grande?
«Quando non ho riconosciuto subito mia moglie Ingrid come la donna della mia vita e l'ho fatta tornare in Francia. Ero in fuga da me stesso. Stavo crescendo e non volevo accettarlo. Quando mi sono ritrovato per l'ennesima volta a vomitare l'anima dopo aver fatto il giro dei locali a bere e a fare il cazzone, ho capito e ho rimesso a posto le cose».
Tutto qui?
«Ho tre figli e non posso dire troppo: potrebbero usarlo contro di me (ride, ndr)».
Ha scritto tanto di musica, ovviamente, tennis e politica: quest'ultima la segue ancora?
«Certo. E sono sempre di sinistra e per i diritti dell'uomo, lo Ius soli, la legge contro l'omofobia, l'eutanasia... Il problema è che non mi sento più rappresentato».
A parte quelli di rito, a chi deve il primo grazie?
«Ai miei genitori, al compagno di mia madre, a mia moglie. Mi hanno aperto gli occhi su musica, libri, vita».
Nel libro il rimpianto è un tema ricorrente: ne ha tanti?
«No, però mi spaventa averne. Comunque, tante cose potevano andare meglio ma anche molto peggio».
L'equivoco più frequente sul suo conto?
«Il belloccio che piaceva alle mamme e alle ragazzine. Non mi sono mai sentito così».
Però nell'84 posò a petto nudo per la copertina del singolo Colore.
«Una trappola. Non mi rendevo conto di tante cose. Il successo di quegli anni non l'ho vissuto benissimo perché fu travolgente».
All'epoca i discografici volevano rifarle i denti, ma non lei accettò: a 60 anni un ritocchino lo farebbe?
«Manco morto. Ma non giudico chi lo fa: Lucio Dalla portava il parrucchino, entrava in studio, lo appoggiava sull'asta del microfono, cantava e suonava, e poi se lo rimetteva. Un genio».
È ancora un insonne cronico?
«Sì, abbastanza. A volte, però, è una benedizione: tempo in più per pensare».
La paura più grande?
«Nessuna, ho l'ansia di sempre. E il fisico ancora regge».
È uno di quelli che vive di insalatina, petto di pollo e acqua?
«Per carità, nessun limite. E vino bianco d'estate, rosso d'inverno».
Ha scritto di essere un uomo non ancora adulto: quale sfizio vorrebbe togliersi?
«Scrivere il soggetto di un film».
L'ha già fatto, immagino.
«Non parlo neanche sotto tortura. Mi ruberebbero l'idea».
Gli incontri della vita, escludendo parenti e affini?
«Neri Marcorè, davvero un bel regalo della vita. E Gianni Ravera, che mi chiamò a Sanremo».
Il punto di riferimento più importante?
«Bob Dylan. Lui e Dio per me sono la stessa persona».
Finora chi ha invidiato di più?
«Roger Federer e Adriano Panatta».
Come regalo dei 60 anni vorrebbe essere il protagonista di quale canzone?
«Nessuna. Vorrei essere il protagonista di una serie tv, magari su un musicista di strada degli Anni 70».
Prima dei 70 anni cosa le piacerebbe fare a tutti i costi?
«Vivere in mare, ma non ho la barca e i soldi per farlo. E poi una radio tutta mia. Con il web non è impossibile».
La cosa più scema che fa online?
«Giocare a scacchi contro americani, cinesi e russi: mi sfondano, ma non mollo».
 

© RIPRODUZIONE RISERVATA