Kurt Cobain a Roma, tre concerti e l'ossessione del suicidio

Kurt Cobain al Colosseo
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Sabato 5 Aprile 2014, 18:30 - Ultimo aggiornamento: 18:31
La prima volta a Roma dei Nirvana una fredda serata di novembre del 1989: tre ventenni sbandati del Northwest, gi sul punto di sciogliersi a causa del cantante fuori di testa.



La seconda nel 1991: il gruppo è in rampa di lancio verso la stardom dopo aver inciso uno dei dischi clou della storia del rock. La terza nel 1994, a poche settimane dalla morte di Kurt Cobain. Con un'appendice 'turisticà pochi giorni dopo, conclusasi in una quasi tragedia: il tentato suicidio dell'inquieto ragazzo di Aberdeen, prova generale per quello che avverrà di lì a un mese nella sua casa di Seattle. Il 5 aprile di vent'anni fa. È una storia strana e 'nerà quella che lega Cobain a Roma.



Una storia che vede la prima tappa il 27 novembre del 1989. I Nirvana sono al primo tour europeo. Kurt ha 22 anni. Il gruppo ha sfornato il disco d'esordio, 'Bleach', per l'etichetta indipendente Sub Pop. Non hanno sfondato con quel lavoro. Sono solo uno dei tanti gruppi della provincia americana che riesce a mettere insieme una serie di date in Europa. Il concerto allo storico Piper di Roma è funestato da una serie di problemi tecnici. Cobain, capelli lunghi, jeans e camicia a quadri aperta (diventerà poi la divisa dello stile grunge), è particolarmente nervoso. Spacca la chitarra. Verso la fine del set sale in cima agli amplificatori e minaccia di buttarsi giù. Tra il pubblico («il tipo di persone che mi picchiavano quando ero al liceo», ricorderà lui in seguito) qualcuno gli urla «devi morire». Ma è solo rock'n'roll. O forse no. Quella notte il leader dei Nirvana decide che il gruppo è finito. Vuole tornare a casa, dopo settimane passate col gruppo in uno squallido van a girare per l'Europa. È esaurito.



A quel punto intervengono provvidenziali due angeli custodi, Bruce Pavitt e Jonathan Poneman, boss della Sub Pop. Fanno fare a Kurt un giro per Roma. Visitano il Colosseo. Lui si rincuora. La copertina del libro di Pavitt da poco uscito - 'Experiencing Nirvana: Grunge in Europe 1989' - raffigura il cantante, sorriso appena accennato, con alle spalle proprio il glorioso Anfiteatro Flavio. La band non si scioglie. E si avvia verso la gloria. La seconda volta dei Nirvana a Roma, così, è molto diversa dalla prima. È il 19 novembre 1991, al teatro Castello di Roma, ad un passo da San Pietro. 'Nevermind' è uscito da appena due mesi sulla major Geffen. Non sono più i semisconosciuti di due anni prima. Fanno il tutto esaurito ed una piccola folla, rimasta fuori, entra durante i bis quando aprono le porte. Questa volta il concerto fila liscio e potente con le canzoni dell'ultimo disco in bella evidenza.



E si arriva al 22 febbraio 1994. I Nirvana sono ormai star assolute. Non suonano più in piccoli locali. La data romana si fa così al Palaghiaccio di Marino. Un altro successo, malgrado la laconicità di Cobain. Il gruppo è una macchina oliata e spara molti pezzi dell'ultimo album 'In Uterò, nonchè gli ormai classici inni di Nevermind, da Smells like teen spirit a Lithium, chiesti a gran voce dal pubblico. Pochi giorni dopo, pausa del tour europeo. Il cantante torna a Roma. Lo raggiunge la moglie - e leader del gruppo Hole - Courtney Love, con la figlia Frances Bean, di quasi 2 anni. Si rivedono dopo alcune settimane di separazione per i rispettivi impegni con le loro band.



L'idea è quella di una vacanza romantica. «Mi ha portato delle rose, un pezzo di Colosseo, perchè sapeva che io amo la storia romana», racconterà lei dopo. Alloggiano al lussuoso hotel Excelsior di Via Veneto. Nella loro suite la mattina del 4 marzo Love scopre il marito privo di sensi. Chiama i soccorsi. Cobain è in coma. Overdose da psicofarmaci (il potente tranquillante Roipnol) e champagne. Ha tentato di suicidarsi, dirà in seguito la moglie. Lo portano prima al policlinico Umberto I, dopo in una clinica privata, dove resta ricoverato per alcuni giorni. Ripresosi, torna a Seattle. Ma Kurt ha davvero voglia di farla finita. Ci riesce il 5 aprile, sparandosi in testa nella sua villa di Seattle.
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