John Lennon, 40 anni fa la morte. Yoko Ono: «È un dolore senza fine, ancora non capisco perché sia finito così»

John Lennon, 40 anni fa la morte. Yoko Ono: «È un dolore senza fine, ancora non capisco perché sia finito così»
di Massimo Cotto
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Domenica 6 Dicembre 2020, 09:46 - Ultimo aggiornamento: 17 Febbraio, 01:02

L'ho incontrata molte volte, sempre vicino all'acqua. A Venezia, a New York vicino all'Hudson, a Milano a un passo dai Navigli. Qui, la prima volta, nel 1991, fu indimenticabile. Avevamo appena finito l'intervista e dovevamo spostarci verso l'albergo. Non si vedevano taxi, così le chiesi se volesse un passaggio. Avevo una Ritmo grigia da rottamare. Yoko Ono accettò senza problemi. Dopo un paio di chilometri, uscì del fumo dal cofano. Lei mi guardò e poi disse: «Non è colpa mia!». Scoppiammo a ridere. Si riferiva a tutto quello che era stato detto su di lei, la rovina dei Beatles, sempre vestita di nero, vagamente iettatrice. Ogni volta che iniziava un'intervista, sorrideva. Ho sempre pensato che fosse perché sapeva che, dopo poco, il discorso sarebbe caduto su John Lennon.
Come reagiva alle accuse di essere colpevole dello scioglimento dei Beatles?
«Né io né John ci preoccupavamo. Erano talmente ridicoli quei pettegolezzi che scoppiavamo a ridere. Dopo la sua morte, invece, le malignità hanno cominciato a ferirmi. Depressa, non uscivo di casa. Poi, quando pensavo di esserne fuori, compravo i giornali e leggevo un articolo terribile su di me».
Perché questo odio?
«Non ero gradita perché orientale e donna. E non ero una top model. Ma la gente amava così tanto John che chiunque fosse entrata nel suo cuore sarebbe stata criticata».
Ha qualche rimpianto? Rifarebbe tutto dall'inizio?
«Non ho rimpianti, ma non riesco a capire perché John sia morto. Non riesco a farmene una ragione. Il mio è un dolore continuo. La sera in cui incontrai John, accadde un miracolo. Il problema è che la gente non crede ai miracoli. Io e John abbiamo continuato a credere nel sogno. Eravamo come Don Chisciotte e Sancho Panza».
Quale lato di John ritiene sia oggi più facilmente ricordato?
«John usava le canzoni per cambiare il mondo, usava la musica come messaggio. Era interessato al cuore delle cose, al movimento del genere umano. Molti musicisti sono interessati solo ai tre minuti di una canzone».
Parliamo dei due brani più noti di John: Imagine, prima di tutto.
«John sognava che le sue canzoni potessero crescere e fare la differenza. Prima che uscissero di casa per cercare la loro strada, John immaginava la loro via. Fantasticava, non per un problema di ego o di gloria personale - John era ricco, famoso, aveva il mondo ai suoi piedi - ma perché era convinto che una canzone potesse cambiare il mondo. Su Imagine puntava molto. Sapeva di avere per le mani un inno che sarebbe stato cantato in coro dalla gente come lui, come noi: idealisti, meravigliosi pazzi, astronauti della canzone».
Happy Xmas (War Is Over).
«La scrivemmo dopo colazione, in un albergo di New York. Poi, litigammo furiosamente e ce ne dimenticammo. La canzone rimase in un cassetto per un mese, forse di più. Intanto, si avvicinava Natale. John un giorno se ne ricordò: Ehi, che fine ha fatto Happy Xmas?. E la tirò fuori. Ne era entusiasta: Diventerà, per la nostra generazione, quello che White Christmas è stato per quelle precedenti. Fino a quando è stato in vita, la canzone non ha funzionato come lui aveva sperato, con suo grande dolore. Dopo l'8 dicembre 1980, Happy Xmas è diventato un inno popolarissimo. Credo che John sia contento ora».
C'è un punto di contatto fra la sua arte e quella di John?
«Certo. I nostri lavori sono come desideri, navi di carta che possono conquistare ogn porto. Fin da bambina, in Giappone, scrivevo i miei desideri su piccole strisce di carta che poi piegavo o arrotolavo e infilavo negli alberi dei templi buddisti. Da lontano quei biglietti sembravano fiori bianchi luminosi».
John aveva paura della morte? Ne parlava?
«Ogni tanto. Ma mai della sua. Si chiedeva perché i grandi pacifisti finissero tutti assassinati. Ma certo non immaginava che anche lui... A New York si sentiva sicuro».
Cosa pensa l'8 dicembre?
«Preferisco pensare al 9 ottobre, giorno del suo compleanno. Però, ci penso sempre. Come si può dimenticare? Mi ricordo la gente impazzita di dolore, fuori dal Dakota. E ricordo che non volevo credere che fosse morto. Rifiutavo l'idea».
Chi è Yoko Ono?
«Una donna che ha avuto il privilegio di vivere con John e la dannazione di vederlo morire. Un'artista rimasta sempre di lato, nonostante quello che si è sempre detto su di me. Una giapponese che rimarrà sempre diversa, anche da come gli altri la vedono. Una donna disperata e piena di speranza».

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