Il Tre, fenomeno rapper: «Droga e violenza? Io mi occupo d’amore, amici e famiglia»

Il Tre, fenomeno rapper: «Droga e violenza? Io mi occupo d’amore, amici e famiglia»
di Mattia Marzi
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Sabato 27 Febbraio 2021, 09:46 - Ultimo aggiornamento: 09:50

«A tredici anni io volevo essere Maradona / sento ragazzi giovani parlare della coca / io raccoglievo punti per la Coca della Conad / e non avevo Gucci né Fendi / se li chiedevo a mamma mi saltavano i denti»: ascolti Io non sono come te e hai l'impressione che a parlare sia un matusa della vecchia scuola rap, irritato dall'atteggiamento e dai contenuti dei ragazzini di nuova generazione. Invece a rappare è Il Tre, che di anni ne ha appena 23, gli stessi che avevano Sfera Ebbasta e la Dark Polo Gang quando nel 2015 cominciarono a sdoganare la trap nelle classifiche cantando di droghe, sesso, armi, soldi e storie di disagio. Contenuti che nelle canzoni di Guido Senia - questo il vero nome del rapper nato e cresciuto a Santa Maria delle Mole, tra Roma e la zona dei Castelli - sono del tutto assenti. Nel suo album d'esordio, Ali, (Atlantic/Warner), ci sono 15 pezzi - compresi i singoli Cracovia, pt. 3 e Te lo prometto, rispettivamente 32 e 28 milioni di ascolti su Spotify - in cui Il Tre parla d'amore, di amicizia e dei valori con i quali è cresciuto: ha debuttato ieri al primo posto della classifica Fimi dei più venduti della settimana. «Porto messaggi diversi», dice.


A 23 anni giudica i ragazzi della sua generazione?
«Mi rivolgo a quelli più piccoli.

Li vedo buttati in piazza a farsi le canne e penso: Se fossi il padre li riempirei di ceffoni. Non voglio sembrare bacchettone: il problema non sono le canne, ma il fatto che a farsele siano dei ragazzini di 13 anni».

Lei con gli stupefacenti, invece?
«Zero. Se voglio divertirmi non mi sballo: mi vedo con i miei amici, quattro chiacchiere appoggiati al muretto, una Coca e via».

Parla come se tra i suoi coetanei e i ragazzini più piccoli passasse più di una generazione.
«Ma è così. Le abitudini e gli stili di vita sono completamente differenti: noi alla loro età per strada giocavamo a calcio e a nascondino, non spacciavamo».

Colpa della trap?
«In parte. I ragazzini hanno preso dai trapper l'ostentazione della ricchezza e lo stile di vita sopra le righe».

Però un po' di violenza c'è anche nei suoi pezzi: «Voglio fare fuoco e fiamme solo con un M16», rappa in Apollo 13.
«È una metafora: le pallottole sono le mie rime. Non voglio uccidere e ferire nessuno, solo lasciare il segno».

La sua adolescenza come è stata?
«Come quella del 99 per cento dei ragazzini: normale, senza traumi o mancanze. L'unica ombra era la scuola».

Perché?
«La frequentavo svogliatamente. Ho fatto il liceo scientifico. In classe non creavo problemi: ma durante le lezioni pensavo ad altro. Mi bocciarono due volte, in quinto non mi ammisero all'esame di maturità. I miei non concepivano che io non andassi bene».

Cosa fanno nella vita?
«Mio padre vende automobili. Mamma fa la casalinga».

Li ha delusi?
«Sì. Ma alla fine sono riuscito a prendere il diploma, nonostante tutto. Oggi gli chiedo scusa dimostrandogli che la mia strada era il rap».

Quando ha iniziato a scrivere?
«Dopo aver visto Straight Outta Compton (il film che racconta la storia della N.W.A., gruppo hip hop americano, ndr). Chiesi ai miei di regalarmi un computer. Poi iniziai a presentarmi ai concorsi».

Cosa sognava di fare da grande?
«Non avevo le idee molto chiare, all'epoca avevo 18 anni. La passione per il rap ha spazzato via tutto il resto».

E se non avesse svoltato?
«Non avevo piani b».

Perché ha scelto questo nome d'arte?
«Perché il 3 è un numero ricorrente nella mia vita. Sono nato il 3 settembre. E in casa, essendo figlio unico, siamo in 3».

Quando ha capito le cose stavano girando bene?
«Nel 2019, quando la major si è interessata a me dopo aver ascoltato i miei brani online. Ho firmato e incassato i primi soldi».

Si è comprato casa?
«Non ancora. Per il momento resto con i miei a Santa Maria delle Mole. Oggi le tendenze si susseguono velocemente e il successo può svanire da un momento all'altro».

Perché non ha provato a partecipare a Sanremo?
«È presto. Magari l'anno prossimo».

«C'è il nuovo messia, ma non è Gesù», rappa in Fight. Chi è?
«Sono io».

Un po' blasfemo.
«È vero (ride). Ma con ironia mi autoproclamo salvatore di questo genere».
 

 

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