Peter Hook live all'Atlantico di Roma: «Farò rivivere il mito dei Joy Division»

Peter Hook
di Simona Orlando
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Lunedì 17 Febbraio 2014, 10:24 - Ultimo aggiornamento: 21 Febbraio, 14:42
E’ un ritorno al futuro il concerto che Peter Hook terr domani all’Atlantico. Il futuro che cominci nel 1977 e a cui, nel 1980, si sarebbe sottratta l’anima tormentata di Ian Curtis, profonda e infelice. Un cappio al collo a 23 anni e via dal malessere insostenibile. Il futuro che poi i New Order avrebbero riscritto, rimettendo insieme i pezzi, non solo musicali. Il bassista e fondatore delle due band, accompagnato dai Light, stavolta omaggia sia i Joy Division sia i primi due LP dei New Order, Movement e Power, Corruption & Lies, le glorie nere del post punk e della new wave inglese.

Hook, rifarà i brani esattamente com’erano?

«Sarò fedelissimo perché molti non hanno mai sentito Joy Division dal vivo. Hanno avuto successo dopo che erano finiti».

Che peso dà alle due band nella storia della musica?

«I Joy Division sono stati emulati e celebrati più o meno da ogni gruppo rock, dai Nirvana ai Radiohead. I New Order hanno combinato per primi dance e rock. Due risultati unici».

Lei non sembra un nostalgico...

«Mi manca quell’innocenza, ma non cambierei oggi con ieri. Sono più felice di allora. Sono stato coinvolto in ogni movimento, dal post-punk alla acid house. Ma il punk ci mostrò la via: noi sbaragliavamo il vecchio. Oggi i nuovi musicisti hanno per quelli vecchi un rispetto che io, alla loro età, non avevo».

Il punk detestava il tecnicismo. La sua visione è cambiata?

«Era eccitante. Bastava avere uno strumento. Ma poi scopri che devi essere bravo eccome per convincere migliaia di persone. Ci vuole impegno, esperienza. Noi a vent’anni abbiamo rotto gli schemi ma siamo subito diventati abili musicisti. E la qualità ti regala l’eternità».

Esiste un legame nascosto fra band che hanno perso il loro leader?

«Oh sì. Dai Doors ai Nirvana, noi tutti, orfani di un compagno, abbiamo la stessa sofferenza, frustrazione, senso di impotenza. Quel dolore non va mai via. All’epoca siamo sfuggiti al trauma creando i New Order e forse, parlo per me, avremmo dovuto viverlo quel dolore, invece di andare avanti».

Nel suo libro ha demistificato i Joy Division, meno dark e più divertenti.

«Ho solo mostrato che eravamo ragazzi normali, stupidi quanto basta ma serissimi sulla musica. Vorrei che altri ragazzi formassero band e non si fermassero davanti al mito. Non esiste mistero: ti alzi dalla sedia e fai bene ciò che vuoi fare»

Non vale la pena di morire giovane per diventare icona?

«Penso che quella di Ian sia stata la soluzione definitiva ad un problema momentaneo. Non ero lì. Ha scelto quando era solo. Come potevo immaginarlo? Ci rassicurava, ci diceva ciò che più al mondo avremmo voluto sentirci dire: che stava bene. E questo è stato il problema. Quando passo dalle parti del suo cimitero, penso a quante cose belle ho vissuto io che lui non ha potuto. È triste».

Perciò oggi la sua band si chiama Light?

«Apprezzo ciò che ho ed è entrata la luce».
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