Ernesto Bassignano, il nuovo album Soldati Arlecchini e Pierrots: «Una raccolta di pensieri sparsi nata durante il lockdown»

Ernesto Bassignano, il nuovo album Soldati Arlecchini e Pierrots: «Una raccolta di pensieri sparsi nata durante il lockdown»
di Fabrizio Zampa
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Giovedì 11 Marzo 2021, 21:40 - Ultimo aggiornamento: 21:43

«E’ il mio decimo album in mezzo secolo di carriera, da quando mi facevo le ossa al Folkstudio di via Garibaldi insieme a Francesco De Gregori, Antonello Venditti, Rino Gaetano, Claudio Baglioni, Giorgio Lo Cascio, Lucio Dalla, Stefano Rosso, Sergio Caputo e tanti altri cantautori della scena romana e non, compreso un Bob Dylan apparso per pochi giorni e partito alla ricerca di una misteriosa fidanzata. Come lo riassumerei? Se il precedente, Il mestiere di vivere, era politico, cupo e incazzato, questo, che è nato in pochi giorni sul terrazzo di casa durante il lockdown per il Covid, è venuto di getto: sono memorie, colori, momenti di vita, acquarelli, ed è molto leggero, molto poetico e molto poco politico tranne un brano, Se non ora quando. il cui testo dice: "Bisogna fare in fretta, Il fuoco è stato spento, da troppi anni piove e fischia il vento, da troppi anni ormai stiamo aspettando... E se non ora, quando?". Insomma, ci si trova di tutto, da ricordi di Caterina Bueno, di Alda Merini, di Luis Sepùlveda e di Amedeo Modigliani a piccoli affreschi molto lirici, diciamo molto tranquilli»: così Ernesto Bassignano descrive in poche righe il suo nuovo album Soldati Arlecchini e Pierrots, appena uscito e preceduto da un singolo, Lettera a Maria, che racconta di una lettera immaginaria, sintesi di tante lettere reali, che il pittore Aldo Carpi, zio di Bassignano e padre del pianista e compositore Fiorenzo Carpi, fece pervenire a sua moglie dal campo di concentramento di Gusen, a due passi da Mauthausen, dove era rinchiuso e dal quale si salvò proprio grazie alle sue doti artistiche: «Le spietate SS – spiega Bassignano - si facevano fare il ritratto da lui e gli permettevano addirittura di mandare lettere alla moglie».

Prima di andare avanti va detto che l’album è uno di quei rari dischi fatti come si faceva una volta, ovvero con strumenti veri e senza computer né ombra di elettronica: Bassignano l’ha inciso in studio con la sua band (Stefano Ciuffi alle chitarre, Edoardo Petretti al pianoforte, tastiere e fisarmonica, Marco Zenini al contrabbasso, Angelo Maria Santisi al violoncello, Stefano Tavernese al violino, la voce di Silvia Celestini Campanari), cantando i brani come in un concerto dal vivo, senza trucchi e senza inganni nonché al completo di quei piccoli difetti che nei live sono inevitabili ma che danno alle canzoni quel tangibile senso di realtà introvabile nei dischi di oggi, ormai confezionati come perfetti prodotti esenti da imperfezioni.

 

Romano, annata 1946 (ma i genitori erano piemontesi e lui è cresciuto per qualche anno a Cuneo), Bassignano ha vissuto la lunga storia della canzone d’autore, soprattutto quella romana, in un’epoca indimenticabile, quando le battaglie erano all'ordine del giorno e quando la sinistra era sul serio la sinistra. Giornalista e conduttore radiofonico (famoso il suo programma su RadioRai Ho perso il trend) oltre che cantautore, ha cominciato come studente di scenografia e negli anni Settanta frequentava lo storico Folkstudio, il locale di via Garibaldi insieme a Francesco De Gregori, Antonello Venditti, Rino Gaetano, Claudio Baglioni, Giorgio Lo Cascio, Lucio Dalla, Stefano Rosso, Sergio Caputo e tanti altri cantautori della scena romana e non, compreso un Bob Dylan apparso a Roma per pochi giorni.

A dare il titolo al disco è un verso di Lettera a Maria, nel quale vengono citati gli Arlecchini e i Pierrot presenti in tanti quadri del pittore Aldo Carpi insieme ai soldati, figure simboliche delle brutture della guerra vissute da Carpi sulla sua pelle.

Alcuni suoi dipinti, oltre ai disegni realizzati da Bassignano, trovano spazio nel booklet del disco associati ai testi delle canzoni. L’intero progetto è in realtà un inno all’arte composto da tanti quadri, tinteggiati con vicende lontane ma vicine nel tempo, che hanno come protagonisti, fra gli altri, poeti, scrittori e pittori.

Bassignano, come etichetterebbe il disco se fosse un film? «Non è un thriller, né una commedia, né un fantasy, né una storia romantica. E’ una via di mezzo fra poesia e pittura, una raccolta di sensazioni, figlia di una vena intimista che all’impegno civile e alle invettive oggi preferisce un orientamento più letterario, una ricerca della bellezza. E dentro c’è anche la sintesi dei mestieri che ho fatto, tutti accomunati dalla musica di una chitarra. Ecco, non è un concept album ma una semplice raccolta di pensieri sparsi». C'

Non manca un accenno ai tempi difficili che stiamo vivendo a causa della pandemia: è nel brano Il Cigno Nero, che chiude il disco. “Strade deserte, qualche gabbiano, una sirena che grida lontano, cosa è successo all’umanità? Non c’è nessuno, nessuno lo sa”, dicono i primi versi, e la canzone si conclude così: “Ma cosa è successo, ditemi un po’, chi ci ha rubato la luna e i falò, chi ci ha rubato la libertà, chi si è permesso, nessuno lo sa. Chi ci ha rubato il bene profondo? Chi ha organizzato la fine del mondo?”. E immediatamente dopo arrivano la leggerezza e la speranza della bonus track Domani è un giorno importante, affidata al duetto tra Ernesto e il cantautore Mario Lucio, icona della musica capoverdiana nonché ministro della cultura del suo paese: una piacevole sorpresa che riapre il cerchio proprio quando sembrava essersi chiuso.

«E’ il decimo album, l’ho già detto, dall’ormai lontano 1973, anno in cui pubblicai il primo disco. Non sono molti in quasi mezzo secolo, lo so, ma questo, così come gli altri nove, non è arrivato per contratto, forse perché tutti e dieci sono lavori amati, sentiti, desiderati, coltivati nel tempo come messaggi e rivendicazioni, come bisogno fondamentale di espressione e comunicazione, insieme a libri, quadri e mille altre iniziative culturali più o meno riuscite ma anch’esse dovute alla società che ho vissuto e ancora vivo con immutata passione. Le mie canzoni? Prima sono nate come inni di lotta, poi via via come affreschi civili. Un po’ di scuola genovese, un po’ di Francia, un altro po’ di quella Milano del dopoguerra di zio Aldo, al quale l’album è idealmente dedicato: la Milano di Giorgio Strehler, di Dario Fo, di Enzo Jannacci e degli altri protagonisti del cabaret marca Derby. Cinema, teatro, pittura, politica e letteratura, come dire i miei interessi di sempre, sono raccontati tra note e accordi per nulla anglosassoni ma semmai mutuati dalla nostra grande tradizione popolare».

Parola di Ernesto Bassignano, uno dei pochi cantautori che dovrebbero essere protetti dal Wwf.

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