Ernesto Bassignano: «Il mio "mestiere di vivere" o di sopravvivere»

Ernesto Bassignano
di Fabrizio Zampa
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Lunedì 25 Febbraio 2019, 15:22 - Ultimo aggiornamento: 15:23

“E’ un omaggio al mio Piemonte e a Cesare Pavese. Rispetto ai miei dischi precedenti, cupi e magari un po’ nostalgici, questo è rivolto al futuro e alla possibilità di farcela nonostante tutto e nonostante la merda che viviamo. E dice ai giovani: cercate di volare, camminate, guardate, fate, lottate. Musicalmente è una novità, perché l’ho fatto con un sestetto di jazzisti, tutto dal vivo, con i suoni giusti, per merito di Edoardo Petretti e di Stefano Ciuffi, che già nell’album precedente mi hanno aperto una strada nuova. Sono tornato quello del Folkstudio ma con questi grandissimi musicisti intorno che rendono i miei brani molto musicali e molto eleganti. Non lo dico io, lo dicono tutti quello che li hanno sentiti e li hanno subito amati”: così Ernesto Bassignano riassume il suo nuovo album “Il mestiere di vivere”.
 

 


Il cantautore romano, che dopo il disco proposto nel maggio del 2017 (era “Grande Bax”, dove Bax era la nuova e più veloce abbreviazione del suo vecchio soprannome Bassingher, ormai in disuso, e nei suoi brani analizzava molti problemi di oggi, che poi non sono così diversi da quelli di una volta, quando internet e telefonini non esistevano) è tornato con una serie di intense e profonde canzoni realizzando quello che, non solo a nostro parere, è il suo disco più bello. E' un album politico, ma non nel senso al quale siamo abituati in questi giorni: la sua è una politica del vivere insieme, del sentirsi parte integrante della società, del guardare al mondo reale. Del vivere per davvero.

Un po’ di storia prima di andare avanti. Romano, annata 1946 (ma i genitori erano piemontesi e lui è cresciuto per qualche anno a Cuneo, di qui l‘omaggio a Pavese), Bassignano ha vissuto la lunga storia della canzone d’autore, soprattutto quella romana, in un’epoca indimenticabile, quando le battaglie erano all'ordine del giorno e quando la sinistra era sul serio la sinistra. Giornalista e conduttore radiofonico oltre che cantautore, ha cominciato come studente di scenografia e mezzo secolo fa frequentava il leggendario Folkstudio, in via Garibaldi, guidato dall’altrettanto storico Giancarlo Cesaroni: era il locale alternativo dove si affacciavano personaggi come Volontè, Alberto Moravia e Dacia Maraini, dove si sono fatti le ossa Francesco De Gregori, Antonello Venditti, Rino Gaetano, Claudio Baglioni, Giorgio Lo Cascio, Lucio Dalla, Stefano Rosso, Sergio Caputo e tanti altri cantautori della scena romana e non, dove negli anni settanta spuntarono Otto & Barnelli, dove poteva capitare di tutto, ai primi tempi anche che comparisse Bob Dylan, con la chitarra in spalla, alla ricerca di una ragazza conosciuta chissà dove.

Considerato un monumento della nostra canzone d’autore e di impegno civile in Italia, adesso Bassignano ha sfornato un album potente e diretto, sia dal punto di vista dei testi che della musica, che segna una nuova partenza. Sul palco del Parco della Musica saranno con lui Stefano Ciuffi alle chitarre, Edoardo Petretti al pianoforte, tastiere e fisarmonica, al contrabbasso Marco Zenini, alla batteria Francesco De Rubeis, ai fiati Giuseppe Russo e al violoncello Angelo Maria Santisi. E tra gli ospiti ci saranno David Riondino, che nel disco interpreta il brano “Il giullare verticale”, e la cantautrice Grazia Di Michele, che interpreterà “Zelda”, una canzone scritta da Ernesto nel 1977 che troverà posto nel prossimo album di Grazia, intitolato “Sante Bambole Puttane” e in uscita fra poco, a marzo.

“Il mestiere di vivere” (per lui è anche quello “di sopravvivere”) è un album serio, vero, uno di quei dischi che si facevano una volta e che oggi, in tempi di one night star, a qualcuno possono sembrare una fatica inutile. Alcuni titoli: “Amiamoci di più”, “Commesso viaggiatore”, “Gli occhi di mio figlio”, “La vita l'è quela che l'è”, “Un Paese Vuol Dire”. Sono brani da riascoltare più di una volta perché per capirli bisogna entrarci dentro. Sono canzoni ispirate, e non prendete “ispirate” per una parola grossa: vengono dalla vita, nella cui realtà Ernesto ha frugato in ogni angolo con sensibilità ma anche con difficoltà. Per un signore nato nel 1946 è la difficoltà di confrontarsi con un mondo che naviga verso la follia, verso una realtà non umana ma piuttosto virtuale. Lo sa bene chi scrive queste righe, che durante la giornata incontra migliaia di persone che invece di parlare digitano furiosamente messaggi su Facebook, Instagram e dintorni: ieri, ultimo di mille casi, due ragazze impegnate con gli smartphone si sono violentemente scontrate sul marciapiede, e la loro prima reazione è stata quella di imprecare non per l’urto quanto per aver perso uno o due post.

Così Ernesto, con un’inquietudine simile a quella di Cesare Pavese, vede un futuro tutt’altro che consolante, di fronte al quale c’è soltanto una soluzione: lotta dura senza paura (come si diceva una volta, anche se è un modo di dire decisamente fuori moda) per recuperare quei rapporti che stanno diventando sempre più freddi e distaccati. In questo suo nono album Bassignano resiste. Gli diamo un benvenuto nel club e gli diciamo che l’album è una bella e giusta battaglia contro un modo di vivere, o meglio un male di vivere, che fra qualche anno molti cercheranno di cancellare dalla memoria. Ascoltatelo, e non solo stasera dal vivo, perché è una sorta di antibiotico indispensabile per la sopravvivenza.  Resistete, gente, resistete.

Presentazione dal vivo: Parco della Musica, Teatro Studio Borgna, lunedì 25 febbraio, ore 21


 

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