Dal mondo di Ermal Meta all'enciclopedia di Ornella Vanoni e allo humour dello Stato Sociale: ecco i dischi di questa settimana

Ermal Meta
di Fabrizio Zampa
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Lunedì 19 Febbraio 2018, 14:03 - Ultimo aggiornamento: 21 Febbraio, 00:12
Ermal Meta – Non abbiamo armi
 
Nel lontano 1994 da Fier, cittadina albanese a 100 chiometri da Tirana (per la cronaca è gemellata con Cleveland, Ohio, città dove ha sede la storica Rock and Roll Hall of Fame, il primo museo al mondo dedicato al rock and roll) il tredicenne Ermal Meta sbarcò a Bari con la madre, la sorella e il fratello. Oggi lo conoscete tutti grazie a Sanremo, che ha vinto cantando insieme a Fabrizio Moro, ma la sua (perdonateci la banalità) è una storia che sembra quasi un film. A quei tempi, nel ’94, la sua famiglia era scappata da un padre violento e il ragazzo, cresciuto ascoltando la musica suonata dalla madre violinista, capì quale sarebbe stato il suo destino e cominciò a esplorare prima il pianoforte e via via altri strumenti, dalle chitarre alle tastiere, dai sintetizzatori alle percussioni. Dopo qualche anno Ermal si è messo a suonare come chitarrista con la band degli Ameba 4 (nel frattempo si era naturalizzato italiano), nel 2007 ha fondato sempre a Bari il gruppo La fame di Camilla, col quale ha inciso tre dischi (con il secondo, Buio e luce, è anche andato a Sanremo fra i giovani), e a un certo punto si è messo a scrivere per altri artisti, da Francesco Renga a Patty Pravo, da Emma a Marco Mengoni, Giusy Ferreri, Francesca Michielin, Lorenzo Fragola, i Negrita. Insomma, Meta è uno che lavora, che lo fa molto bene, che è sempre al passo coi tempi e che butta giù canzoni senza sosta, non fermandosi mai e riempiendo con appunti, versi e piccole story board la memoria del suo computer e del suo cellulare.

L’anno scorso è arrivato terzo al festival con Vietato morire, stavolta ha vinto, e adesso è già primo in classifica con il nuovo album Non abbiamo armi, uscito all’indomani della rassegna, e se nelle precedenti righe vi abbiamo riassunto la sua avventura è stato solo per fornire a chi non la conosceva la mappa dalla quale capire il suo modo di fare musica. Meta ama il rock, i suoni elettronici, le mille variazioni sul tema che oggi sono indispensabili, ma è anche, sebbene compia i suoi 37 anni il prossimo 20 aprile, un cantautore vecchio stile, di quelli che scrivono e riscrivono i brani con un obiettivo principale: raccontare e raccontarsi, frugare nei tempi che corrono e trovare, alla faccia dei social, i lati umani delle storie da narrare. Il disco è realizzato con notevole bravura, esplora diverse sonorità, offre un pop che è difficile definire pop perché è molto di più: è la canzone d’autore del 2018, e lo dimostrano sia l’ormai celebre Non mi avete fatto niente che ha trionfato a Sanremo, sia gli altri undici brani, tutti dai sapori, dai suoni, dai ritmi e dagli arrangiamenti diversi. «Non abbiamo armi per comandare il tempo, non abbiamo armi contro il cambiamento», dice il pezzo che dà il titolo al cd e ha un sound molto convincente, così come è una ballad di classe Le luci di Roma, mentre Caro Antonello (dedicata a Venditti: «…di Roma Capoccia, di notti e di esami non è rimasto più niente, ci hai fregati tutti, ci hanno fatto male le tue canzoni d'amore. Ma almeno mentre si canta non si può mai morire…») ha un suo amaro ma realistico sapore. E il conclusivo Mi salvi chi può («Si salvi chi può, e quanto all'amore mi salvi chi può, perché da soli fa male pure l'aria…») è un appello che funziona assai bene. Non vi fidate delle recensioni, compresa questa: Ermal Meta va ascoltato, e con attenzione. Merita il successo che ha ricevuto, e pezzo per pezzo vi farà capire molti dettagli che nel casino di oggi magari sfuggono, ma sono importantissimi.


  
 
Ornella Vanoni – Un pugno di stelle
 
La signora Ornella Vanoni, che il 22 settembre, beata lei, compirà 84 anni, oggi ha la stessa voce e lo stesso fascino di mezzo secolo fa, e quindi è un vero e proprio miracolo. L’abbiamo sentita in tutte le salse, ha cominciato nel lontano 1956, non ha mai smesso e non ha mai deluso, e se volete avere una sorta di enciclopedia della sua lunga carriera è arrivato Un pugno di stelle, triplo album che in 58 canzoni racconta la felice avventura della star che all’ultimo Sanremo con Imparare ad amarsi, scritta da lei con Bungaro (Antonio Calò) e Pacifico (Luigi De Crescenzo) e proposta in trio con loro, ha avuto successo e rispetto. Che dire del suo modo di cantare, se non che è personalissimo e inconfondibile? Meglio parlare del cofanetto, che divide in tre parti, in un piacevolissimo andirivieni che parte dal passato remoto e va avanti fino a oggi, le canzoni interpretate dalla sua voce, sia da sola che con ospiti di primo piano. Nei tanti solchi c’è proprio di tutto, da brani d’annata opportunamente rimissati dai nastri originali a materiale recente e recentissimo. Basta l’elenco delle canzoni del primo cd, intitolato Imparare ad amarsi e dedicato alle collaborazioni) a dare un’idea di quello che troverete: ci sono Gira in cerchio la vita (con l’israeliano Idan Raichel), Senza fine (con Lucio Dalla), Più (con Jovanotti), Insieme a te (con Mario Lavezzi), Anima (con Pino Daniele), Non abbiam bisogno di parole (con Ron), Ti lascio una canzone (con Gino Paoli), Senza paura (con Fiorella Mannoia), Dio è morto (con Francesco Guccini), Solo un volo (con Eros Ramazzotti), Vita (con Gianni Morandi e Lucio Dalla), Alberi (con Enzo Gragnaniello), Eternità (con i Pooh), Che sia buona la vita (con Idan Raichel e il trombettista Paolo Fresu), Amiche mai (con Mina), I maschi (con Gianna Nannini), Domani è un altro giorno (con Claudio Baglioni). In  pratica è una Treccani della nostra cosiddetta musica leggera

Se questa lista non vi basta nel secondo cd, intitolato Una bellissima ragazza e con incisioni che vanno dal  1990 al 2013, e nel terzo, intitolato L'appuntamento e che raccoglie i suoi maggiori successi, anche live, ci sono altre quaranta canzoni, anzi trentanove più una poesia (è intitolata Per un'amica, e fra i brani non mancano pezzi con ospiti come Vinicius de Moraes e Toquinho), perfette per far rivivere quelli che sono stati frammenti della colonna sonora della vita di metà degli italiani. Non chiedeteci un commento sulla qualità (che è comunque eccellente) per almeno due semplici ragioni: perché Vanoni è un personaggio unico, e perché se commettiamo qualche pur minuscolo errore sarebbero guai, visto che la signora non solo ha la voce e la classe di sempre, ma non ha perso neanche un grammo della sua aggressività e della sua bravura nel vincere ogni polemica. Brava, bravissima e un milione di complimenti.


 
 
Lo Stato Sociale – Primati
 
I primati sono diversi, dai record che si battono sia alle Olimpiadi che altrove, fino ai mille tipi di scimmie che frequentano le foreste di mezzo mondo, Inutile dire che per la band Lo Stato Sociale i primati che fanno da titolo al loro ultimo album appartengono alla seconda categoria, e basta dare un’occhiata alla copertina del disco, appunto Primati, per averne la conferma. Inutile dire, poi, che la formazione nata a Bologna nel 2009 dall’unione di tre dj di Radiocittà Fujiko, ovvero Alberto Cazzola (vocalist e bassista), Lodovico Guenzi (vocalist, chitarrista e tastierista) e Alberto Guidetti (drum machine, sintetizzatore, sequencer, voce) e diventata poi quintetto con l’arrivo di Enrico Roberto (voce, synth, tastiere) e Francesco Draicchio (voce, synth, sequencer, percussioni), è un gruppo che sa suonare, sa stare in scena, sa divertire, sa sfoderare una carica, un’ironìa e un’energia non comuni, è capace di usare un mare di strumenti e possiede una grossa dose di humour, per fortuna anche politicamente scorretto. L’ha appena dimostrato a Sanremo, sul palco insieme al piccolo coro dell’Antoniano e al grande Paolo Rossi, piazzandosi al secondo posto con Una vita in vacanza, brano che, insieme a Fare mattina e Facile e una nuova versione del precedente hit Sono così indie, fa parte di una raccolta con altri tredici pezzi incisi fra il 2009 e il 2017.

Già basterebbe l’elenco dei precedenti album della band (Turisti della democrazia del 2012, L'Italia peggiore del 2014 e Amore, lavoro e altri miti da sfatare del 2017) e i titoli di alcuni singoli (da C'eravamo tanto sbagliati a Questo è un grande paese, Pubbliche dimostrazioni d'odio, Mai stati meglio, Vorrei essere una canzone, Buona sfortuna, Socialismo tropicale) a dare l’idea dell’aria che tira nella produzione del gruppo, i cui componenti sono stati definiti da qualcuno «gli eredi morali di Elio e le Storie Tese». E stavolta, a parte il verso del brano sanremese («…per un mondo diverso, libertà e tempo perso, e nessuno che rompe i coglioni», criticato da un pugno di stupidi superpignoli), non mancano nei diciassette pezzi titoli come Io, te e Carlo Marx, In due è amore, in tre è una festa, Quello che le donne dicono, L’amore ai tempi dell’Ikea, Mi sono rotto il cazzo. La band, lo ripetiamo, suona benissimo anche se l’intonazione non è il suo punto di forza (ma è un difetto voluto, e merita una lode) e dal lato musicale ci sa fare. Ce ne vorrebbero parecchie di formazioni così, e fortunatamente stanno aumentando.

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