Diodato: «Torno sul palco per guardare tutti negli occhi»

Diodato: «Torno sul palco per guardare tutti negli occhi»
di Massimo Cotto
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Lunedì 20 Luglio 2020, 10:47 - Ultimo aggiornamento: 13:41

David di Donatello e Nastro d’Argento per Che vita meravigliosa, dalla colonna sonora della Dea Fortuna di Ozpetek, trionfo con Fai rumore al Festival di Sanremo che si somma al Premio della critica Lucio Dalla e Mia Martini. E poi, disco di platino, 26 milioni di ascolti su Spotify, 38 milioni di visualizzazioni su YouTube. E adesso, un tour attesissimo, che farà tappa a Roma per tre serate (25-27 luglio) all’Auditorium della musica (il 31 luglio sarà a Tarvisio, Udine; il 4 agosto a Tindari, Messina; il 5 al Teatro Antico di Taormina, il 15 agosto a Grottaglie, Taranto). Parla Diodato, il cantautore tarantino che, dopo aver vinto di tutto, il 25, 26 e 27 luglio sbarcherà nella Capitale per tre show all’Auditorium: «L’adoro. Qui ho vissuto e sono diventato uomo» 

Diodato è, ovviamente, felice - in autunno il racconto di questi show andrà online su RaiPlay con il titolo Aria di un’altra estate - ma non smarrisce mai il senso della misura. È così da sempre. Mai una parola fuori posto, ma un sussulto d’ego. Gli ultimi dieci mesi sono stati un’emozione continua.

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La sua vita è cambiata. «È arrivato il consenso, l’affetto, l’amore della gente. Che è una delle due cose che l’artista desidera. L’altra è la libertà. Mi sento libero di sperimentare, di provare ad avvicinarmi a quello che sono. L’artista cerca sempre nuove strade per arrivare allo stesso traguardo: se stesso. E poi, la gente mi ha dato attenzione. Sembra roba da poco, ma non lo è. Le persone oggi sono attente a quello che faccio. C’è un
pubblico che mi aspetta e questo mi fa stare bene».

Come ha vissuto il lockdown? «All’inizio, male. Ero immobile, fisicamente e psicologicamente. Guardavo in continuazione i Tg. Mi sentivo appesantito, intontito. Poi, ho capito che, se volevo reagire, dovevo spegnere la tv. Più che guardare le news dovevo guardare dentro me stesso. Ho ripreso la chitarra, che avevo messo da parte, e cominciato a suonare. Senza pretese. Solo per piacere. Nessuna intenzione di scrivere canzoni. Avevo solo necessità di riprendere in mano la mia vita. Poi sono arrivate parole e brani».

Come “Un’altra estate”. «Ero a Milano, a casa. Guardavo fuori dalla finestra. Vedevo la primavera che arrivava, mentre dentro di me e dentro tutti noi era ancora inverno. Avevamo paura, ma fuori, nonostante tutto e nonostante noi perché le strade erano deserte, la vita cominciava a rifiorire. La vita andava avanti. Allora ho aperto la finestra e mi è sembrato di sentire arrivare il rumore del mare. Una suggestione bellissima. Come se anch’io stessi rinascendo, rifiorendo».

Le è mancato non cantare e suonare dal vivo? «Togliere il palco a un artista è sottrargli la vita. Dopo Sanremo avevo fatto qualche in store, ma i concerti sono un’altra cosa. E questo tour voglio che sia un’altra cosa rispetto ai miei soliti concerti».

In che senso? «Intanto alla mia solita band si aggiungeranno altri musicisti. In tutto saremo otto. Ma non è solo questo. Non voglio salire sul palco facendo finta che niente sia successo, che la pandemia è finita e tutto è come prima. Voglio che ci sia consapevolezza di quanto sono preziosi certi momenti, di quanto valga la musica. Voglio guardare negli occhi la gente, ritrovarla e ritrovarmi, tenermi stretto le emozioni. Facciamo che sia anche un po’ un rito di bellezza, non solo un insieme di canzoni. E poi, la scelta delle città non è casuale, perché riassume la mia vita».

In che senso? «Il primo concerto è dove sono nato, il blocco centrale è dove ho vissuto gli anni più belli, il finale è nella città che mi ha fatto diventare quello che sono. Sono nato casualmente ad Aosta, dove non ero mai più tornato. So che sembra incredibile, ma è così. A volte mi veniva la voglia di prendere la macchina e andare, ma poi cambiavo idea. Dicevo: sarà la musica a riportarmi in Valle d’Aosta, e infatti il primo concerto è stato al Musicastelle Outdoor, a duemila metri di altitudine».

Poi c’è Roma. «A Roma mi sono formato, in tutti i sensi. Laureato al Dams, ho vissuto in posti diversi, respirato l’aria bellissima di chi vuole fare musica qui. Sono arrivato nel 2000. Il fermento era totale, l’eccitazione altissima. La Roma aveva vinto lo scudetto, strappandolo alla Lazio. Io vivevo a San Lorenzo, può immaginare. Ho visto di tutto, persino il funerale della Lazio, con lunghissima processione di tifosi giallorossi».

Lei è tifoso? «No, ma sono affascinato da questi momenti di folclore che non vanno mai oltre lo sfottò».

Quando l’ha lasciata per Milano, era una Roma diversa da quella che aveva trovato? «Purtroppo sì. Mi fa male vedere come si è ridotta. L’immondizia è solo un segnale. Il declino è ovunque. I club chiudono, gli stimoli culturali si allentano, la gente è meno aperta. A Roma ho vissuto in tanti luoghi d’incontro e formazione. Lì sono diventato uomo. Poi, molto velocemente è cambiata. È diventata affannata, strana. Torno sempre con grande piacere, rivedo gli amici. Amo Roma, ma sento di non appartenergli più. Da lontano penso spesso alla sua bellezza deturpata. Ma il fatto che sia stata rovinata non toglie bellezza, semplicemente la sporca».

E poi il tour si chiude a Taranto. «È una città che continua a plasmarmi, con tutte le sue difficoltà. Non si arrende mai. Resiste. Fantastico».

Che estate sarà? «Spero non esagerata. C’è bisogno di moderazione, di far rumore in modo attento, consapevole, senza seguire gli istinti primordiali. E scansando chi cercherà in tutti i modi di strumentalizzare la situazione che stiamo vivendo per trarne vantaggio».

Nelle sue canzoni c’è sempre spazio per la malinconia. «Non potrei vivere senza. Sono cresciuto in riva al mare, che ti dà voglia di sognare e prendere il largo, ma che al tempo stesso ti fa paura, perché il mare è punto interrogativo. Tutti quelli che vivono sul mare sono malinconici, perché conoscono i contrasti».

Mi dica tre cose che troveremo nel suo tour. «Serenità. Energia. Consolazione. Condivisione. Abbracci. Coraggio. Malinconia. Sogno».

Sono più di tre. «In questo periodo, meglio abbondare».

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