Coez: «Che bello il rap, se citi Vasco e Dalla»

Coez: «Che bello il rap, se citi Vasco e Dalla»
di Simona Orlando
5 Minuti di Lettura
Venerdì 29 Marzo 2019, 11:00 - Ultimo aggiornamento: 11:01

«Non ce la faccio più. Da sei mesi tengo segreto il mio disco. Parlarne è una liberazione». Coez è un fiume in piena e spara le nuove canzoni dalle casse del suo studio romano, in zona Marconi, fra un market pakistano e un parrucchiere. Quartiere popolare, non lontano dalla scuola dove campeggia ancora il suo graffito blu e quel tag, la firma da writer (il vero nome è Silvano Albanese) di quando passava notti a colorare treni e si faceva bocciare «per approfondire le materie», prima di diventare rapper, cantautorapper, sempre più pendente al cantautorato, fare milioni di clic, cinque dischi (20 certificati platino), il botto nel 2017 con “Faccio un casino” e il record nazionale al live di Rock In Roma con 33mila biglietti venduti.

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Nello stesso studio registrò con Salmo la hit “Sparare alla luna” e stavolta aveva «tanta voglia di chitarre, Vascate e suoni anni ’80», tessuti da Niccolò Contessa (de I Cani e re dei synth). Di “Vascate“, come le chiama Coez, ce ne sono diverse, a partire da “Mal di Gola”, qua e là echi di “Siamo solo noi” e “Ti prendo e ti porto via”, ma c’è anche il taglio “brit” in “Aeroplani” e in “Fuori di me”, con archi alla “Bitter Sweet Symphony” dei Verve, la “Ninna nanna” grunge che parla di dipendenze e dal vivo diventerà un momento corale. Si conferma un cecchino dei ritornelli, attraversato da una sottile malinconia e festeggia dieci anni di carriera solista al Palazzo dello Sport, il 28 e il 29 maggio. “E’ sempre bello” è stato anticipato dalla guerrilla marketing che ha tappezzato con le sue frasi muri e bus a Milano e Roma.

Voglia di tornare in strada?
«Sì, ho personalmente attaccato i manifesti di notte. Una faticaccia. Mi hanno pure fermato le guardie»

Problemi? «No agivo entro il limite della legalità. Non mi hanno riconosciuto però hanno voluto leggere la scritta. C’è tensione nell’aria: pensavano fosse politica invece erano messaggi d’amore»

Ha attacchinato solo a Milano e Roma? «E già sono esausto. Uscirà presto un reportage sui social, mi aiuteranno a raccontare l’avventura al resto d’Italia».

Perché ha scelto questo tipo di guerrilla? «In genere sono i miei fan a fare slogan dalle mie canzoni, stavolta li ho scelti io. Mi piaceva l ‘idea di condividere qualcosa di reale e analogico, prima che di streammabile. Sono frasi che fanno riflettere, creano interazione con chi legge. Ci tengo a dire che non sono stato io a coprire il murale della Lupa di Suburra al Pigneto»

Però è finito nella colonna sonora della serie tv.
«Un vecchio progetto di Brokenspeakers e una sorpresa. Sapevo di esserci ma non che la mia voce aprisse la puntata con l’inquadratura di Roma dall’alto».

E’ tornato a vivere nella sua città?
«Finalmente. Mi ero trasferito a Milano, lì si fanno tante pubbliche relazioni, non stacchi mai, frequenti le persone con cui lavori. Volevo tornare a casa, portare a cena fuori mia madre».

Vive male la fama? «I fan veri mi rispettano, gli altri no. Giro con il cappuccio sennò mi chiedono selfie. Dalla spiaggia devo scappare. Io non mi sono mai fatto uno scatto al mare a torso nudo e loro invece scattano e pubblicano. Ho paura, però, a stare lontano dalla gente»

Perché?
«Scrivo solo cose autobiografiche, dipendo dalla vita reale. La mia gente è il mio quaderno».

Con l’amore c’è lo stesso problema. Di chi può fidarsi?
«Le mie canzoni d’amore non finiscono bene e nascono sempre da rifiuti. Non è un problema di fiducia, non me la sento di tenere inchiodata una donna mentre giro l’Italia. E poi l’amore ingrassa, io devo stare in forma per il tour»

Nessun ospite nel disco. Disintossicazione da featuring?
«Ne faccio fin troppi nei dischi degli altri, e sempre da addetto ai ritornelli. Poi magari non escono e escono quando lancio i miei di singoli. Dicono che sono troppo buono, dico sempre sì. Magari gli ospiti li chiamerò ai live».

‘Domenica’ è il prossimo singolo e cita T’immagini di Vasco. Un suo eroe?
«”Non siamo mica gli americani” è stata una delle mie prime cassette. Su whatsapp tengo una foto con lui, mai pubblicata, è solo mia. Questo è un brano anni ’80 alla Cindy Lauper, e parla di una tipica domenica italiana di quando ero ragazzino. Aprivi la finestra e c’era il deserto, un silenzio sacro. Non esiste più»

In “Catene” canta “Tutto questo odio giuro non vi fa bene”. Parla dei social?
«Sul web qualsiasi stupidaggine autorizza a sputare veleno. Odio chiama odio. Fa spavento»

In ‘Vai con Dio’ cita il Dalla di 'Disperato Erotico Stomp'. Un pezzo piccante?
«Diciamo “diversamente amoroso”. Parla di piacere sessuale in modo ironico. Spero che chi non conosce Dalla fra il mio pubblico, lo scopra»

A 35 anni è sempre più cantautore e meno rapper?
«Come la torta della nonna: finché non monta il ritornello, non mi accontento. “E’ sempre bello” è il disco della conferma. Diverso dagli altri ma mi fa più paura ripetermi che rinnovarmi».

Il cambio c’è già stato dal rap al pop.
«Ero slegato da stampa, radio e tv. Mi snobbavano o mi mettevano in discussione. Quando è partita “La musica non c’è”, hanno dovuto considerarmi e, dopo concerti con soli maschi incazzati o ubriachi, finalmente sono arrivate le ragazze con l’accendino. Ho grande rispetto per le donne. Non mi vengono proprio rime sessiste. In copertina ho voluto una ragazza semplice che mangia un panino. La mia idea di bello»

Il sogno è l’Olimpico?
«È casa mia, montavo i palchi degli altri. Un giorno succederà, non ho fretta»

Perché non ha inciso l’inedito ‘Mamma Roma’ dedicato alla sua città?
«La tengo solo per i concerti a Roma.

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