Cremonini in tour: «Gli stadi e il coraggio di essere liberi e felici»

Cremonini in tour: «Gli stadi e il coraggio di essere liberi e felici»
di Andrea Scarpa
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Venerdì 20 Aprile 2018, 09:52 - Ultimo aggiornamento: 2 Maggio, 16:33

Per quanto riguarda la musica pop italiana è molto probabile che Cremonini Stadi 2018 diventerà l'evento più importante della prossima estate. O almeno il più nuovo e sorprendente (è la sua prima volta negli impianti sportivi). Dopo quasi vent'anni di carriera - dal 1999 al 2001 con i Lùnapop, dal 2002 da solista - l'artista bolognese a 38 anni è ormai fra i grandi protagonisti del panorama cantautorale. Per lui, tanto per essere chiari e concreti, parlano i numeri: il sesto album Possibili scenari, pubblicato lo scorso 24 novembre, ha venduto più di 50 mila copie (disco di platino) e finora per i quattro concerti del 15, 20, 23 e 26 giugno al Comunale Teghil di Lignano Sabbiadoro (Udine), al Meazza di Milano, all'Olimpico di Roma e al Dall'Ara di Bologna i fan hanno già acquistato 140 mila biglietti.
Da quanto tempo le passava per la testa l'idea di cantare negli stadi?
«Da sempre. Credo sia il grande sogno di ogni musicista pop. Come vincere uno scudetto, o meglio ancora una Champions League. A proposito: io e tre amici romanisti stiamo cercando i biglietti per la partita contro il Liverpool...».
In bocca al lupo. Senta, come sta vivendo l'attesa di questo tour?
«Non bluffo: al momento mi sembra un sogno più grande di me».
E questo è un bene o un male?
«È una novità. In tutti questi anni ho sempre avuto la sensazione di controllare fino in fondo i sogni che uno dopo l'altro riuscivo a realizzare. Adesso, per la prima volta in vita mia, non è così. Sto lavorando, però, anche in maniera inconscia, perché accada. Grazie anche alla felicità».
Che intende dire?
«Che proprio la felicità è alla base di questo progetto. Purtroppo non so se dipende dalla nostra cultura, o da vecchi schemi mentali, ma facendo questo mestiere spesso ho avvertito un limite: è vietato farsi vedere felici, contenti, realizzati. Un cantautore non deve mai essere così, o almeno non del tutto. Questo adesso mi sembra un po' troppo. Per esibirmi negli stadi voglio cercare la felicità con entusiasmo e condividerla con chi mi verrà a vedere e ascoltare».
Non avere il controllo la spaventa?
«Sì, un po'. Ma alla fine mi piacerà ogni cosa: voglio diventare un artista da stadi. E sono fiducioso. Anche perché ci sono arrivato dopo un lungo percorso».
Com'è stato arrivare fin qui?
«Bellissimo. Se non avessi iniziato a 18 anni, però, non avrei retto così a lungo. Se non fossi stato così giovane e determinato, inquieto e agitato, non sarei qui».
Ripensando al lungo percorso, ha rivincite da prendere?
«No. Credo che queste lascino sempre un po' di amaro in bocca, e poi non sono uno che serba rancore. Vado a divertirmi negli stadi sapendo di aver fatto vedere un sacco di cose e di averne tante altre ancora da mostrare. Il resto non mi interessa».
Se di sicuro questi 19 anni di carriera le hanno dato tanto, cosa le hanno tolto?
«Non saprei. So per certo che mi hanno salvato da una vita privata che per me è sempre stata molto più complicata della mia carriera. Questi anni mi hanno dato regole importanti per studiare e lavorare al massimo delle mie possibilità. Affrontare e conoscere il mondo degli adulti, quando ero un ragazzo, mi ha aiutato a gestire al meglio le difficoltà. È la vita privata che mi ha più spossato, non quella professionale».
A chi deve dire grazie per primo?
«Al mio produttore e amico Walter Mameli. Quando parlo con persone più giovani di me la cosa che mi invidiano di più non è la fama, la ricchezza o altro, ma il fatto di aver trovato qualcuno che abbia creduto in me. Anche se i rapporti non sono sempre facili, avere una guida è la cosa più importante. Lui lo è stato e continua a esserlo».
Lei è uno di quelli che alle fidanzate prima o poi dice «guarda ho la musica, ho il disco, ho il tour, e non puoi chiedermi di fare altro?
«Sì, sono quella robaccia lì. Metto il lavoro davanti a tutto. Ma non sono uno stronzo».
Non lo so. Gliel'hanno detto spesso?
«Ce n'è per tutti, ma non penso di esserlo».
Affronto l'argomento per sapere se l'amore che canta è solo immaginato o sfiorato.
«Il mio problema più grande nelle relazioni è la difficoltà di comunicare. Pensi a
Nessuno vuole essere Robin: è una canzone d'amore che non parla di una mia fidanzata, ma di quello che provavo per lei con le parole che spesso mancano nei miei rapporti».
Insomma, lo conosce o no ?
«Diciamo che sono un alternativo dell'amore. Lo sto scoprendo».
Ha detto che quest'ultimo disco è nato anche per esser influente: non è un po' troppo?
«Mi piace pensare che il mio lavoro possa lasciare un segno. Non faccio musica con il telefonino o programmi al computer».
Di recente che cosa l'ha influenzata di più?
«Le cose negative, quelle che non voglio assolutamente fare».
I concerti negli stadi che ha apprezzato di più quali sono?
«Per il passato i miei amati Queen a Wembley, nell'86, che ovviamente ho visto solo in dvd, e più di recente quello di Beyoncè».
Da quando è uscito il nuovo disco che cosa l'ha sorpresa di più?
«Aver capito che l'unico modo per vincere è lanciarsi dal trampolino più alto. Per fare questo lavoro ho affrontato le mie paure più recondite. Mi sono accorto di essere stato condizionato troppo a lungo dalla paura di perdere questo lavoro così bello e fortunato. E mi sono liberato. Adesso faccio quello che voglio con più creatività e leggerezza».
Dopo gli stadi che farà? Andrà in giro nei palasport d'autunno?
«Non lo so. Vedremo. Dal punto di vista della vita privata vorrei riuscire a far convivere la creatività, e la gioiosa inaffidabilità della creatività, con il coraggio che ci vuole per avventurarsi in scelte dalle grandi responsabilità. Sono sicuro che mi capiterà anche questo».
Per arrivare fin qui c'è voluto più coraggio o incoscienza?
«Io mi considero abbastanza incosciente da avere spesso e volentieri molto coraggio. Che adesso, come le dicevo, si traduce nel coraggio di essere felici. Io che non vado dallo psichiatra sono arrivato a questo passaggio fondamentale della mia vita».
Mai stato sul punto di andarci?
«L'unica volta che sono andato, ho parlato per quaranta minuti al termine dei quali il medico mi ha chiesto se poteva venire lui da me per parlare dei suoi guai».
È venuto?
«Sì».
E com'è finita?
«L'ho ascoltato. Poi non l'ho più visto».
 


 

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