Lei - reduce dal successo folgorante del Festival di Pentecoste a Salisburgo, che lei stessa dirige e in cui ha cantato L'italiana in Algeri, e il concerto di ieri al festival di musica sacra di Pavia - considera il ritorno «bello», senza nessuna paura. «Sono trent'anni che canto e la vivacità del pubblico della Scala - dice - è anche un grande amore. Comunque sono in buona compagnia con Kleiber, la Callas. Forse ci sarei rimasta male con una reazione diversa».
E comunque il suo entusiasmo è tutto per il progetto sul barocco di cui fa parte anche la nascita di una fondazione per sostenere la musica barocca in Italia (il tutto con il sostegno di Rolex). L'inizio a fine 2019 sarà con Giulio Cesare in Egitto con la regia di Robert Carsen e un cast di grandi nomi che include Bejun Mehta e Philippe Jaroussky, che inizialmente aveva rifiutato ma poi, ha raccontato Pereira, ha cambiato idea quando ha saputo che cantava «la Cecilia». Nel 2020 toccherà a una nuova produzione di Semele per finire con Ariodante, realizzato in collaborazione con il festival di Salisburgo dove è andato in scena nel 2017 nell'allestimento di Cristof Loy. In questo caso però la collaborazione sarà anche con il teatro San Carlo che, ha ricordato Pereira, «ha una grande tradizione barocca».
La speranza del mezzosoprano è di portare a Napoli tutti e tre i titoli eseguiti con l'orchestra del San Carlo. «C'è un forte desiderio.
I sovrintendenti si sono parlati - ha osservato la cantante - e io incrocio le dita. Potere unire Nord e Sud attraverso la musica è una cosa bellissima». Fino al 2021, Bartoli sarà a capo del festival di Pentecoste di Salisburgo. Già ha pronta la prossima edizione e per ora non pensa di aggiungere ai suoi tanti impegni la direzione di un teatro. «Sono ancora una musicista e ci tengo a poter cantare. Però in futuro, chi lo sa?» ha concluso. I sovrintendenti dei teatri italiani sono avvisati.
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