Bob Sinclar: «Non chiamatemi dj: sono un produttore»

Bob Sinclar: «Non chiamatemi dj: sono un produttore»
di Marco Molendini
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Domenica 11 Giugno 2017, 11:21 - Ultimo aggiornamento: 15 Giugno, 19:54
«Non mi fermo mai» confessa subito Bob Sinclar, appena gli chiedi come sarà la sua estate. «Non c'è un giorno dell'anno in cui non lavori. Ma per me è un piacere perché faccio quello che amo. Non me ne frega nulla di avere due Ferrari, la barca, la villa, la mia vita è il lavoro». Quarantotto anni, francese con il nome d'arte che suona anglosassone ma pescato dal francesissimo film con Jean Paul Belmondo, Come distruggere la reputazione del più grande agente segreto del mondo, star assoluta della musica che vive di notte ma salutista convinto (non beve, non fuma, fa sport. E basta), trent'anni di carriera alle spalle, di cui un ventennio passato dietro le consolle, due figli, una moglie con il sangue siciliano.

Mister Sinclar, ci racconta perché quel nome preso in prestito da Belmondo, anche se il suo, Christophe Le Friant, avrebbe potuto funzionare ugualmente?
«Volevo creare un personaggio dal look molto disco, con i baffi e un aria un po' da spia. Come Belmondo in quel film, dove interpreta lo scrittore di una serie di racconti che si identifica con il suo eroe, che è una spia, Bob Saint-Clair».

Cosa l'ha spinta verso il mestiere di dj?
«Produttore, prego».

Pardon, allora cosa l'ha spinta a fare il produttore?
«Un colpo di fulmine quando, la prima volta, sono entrato in un club di Parigi, lo Zoopsie, e ho visto un dj suonare un vinile. Allora andava di moda l'house music, molto centrata sul mondo gay. E ho cominciato anch'io puntando inizialmente sull'hip hop e la black music, senza immaginare che la mia carriera sarebbe stata così fortunata. La scena, a quei tempi, non era grande come oggi. Fino a una quindicina di anni fa il mondo di notte era associato alla droga, ai rave. Oggi siamo considerati artisti».

Mi spiega la differenza fra dj e produttore?
«Il produttore produce la propria musica ed è quello che faccio io. All'inizio ero anch'io dj, avevo ammirazione per personaggi come l'americano David Morales, poi con il tempo ho capito che era importante creare musica nel proprio studio inventando successi».

Oggi secondo lei chi è il numero uno in questo campo?
«Non c'è. Questa è un'industria dove girano tanti soldi. Oggi un grande producer può guadagnare anche 60 milioni l'anno».

Beati voi. Oggi l'edonismo festaiolo, di cui lei è uno degli agitatori culturali, non sta un po' cambiando? I chiari di luna in giro non sono dei migliori.
«Invece la situazione è sempre più crazy ogni anno. Più complicata si fa la vita, più cresce la voglia di divertirsi e dimenticare. La gente ha tanta voglia di ballare».

Ibiza è sempre il centro di riferimento? E lei continua a fare le sue serate al Pacha?
«Tutti i sabati dell'estate. In questo periodo giro l'Europa con un piccolo aereo, in modo da essere sempre a due ore di aereo da Ibiza. Non c'è nessun posto come il Pacha. È la destinazione irrinunciabile e definitiva. E ogni week end c'è l'assalto con gli italiani in prima fila, sono almeno il 50 per cento dei clienti».

A proposito di Italia, quella scena di La grande bellezza di Paolo Sorrentino con Far l'amore mixato da lei che effetto le ha fatto?
«Strano, perché la musica è stata usata con una velocità superiore rispetto al mio remix. La scena però mi è piaciuta si ricollega all'immagine che abbiamo noi dell'Italia».

Con Raffaella Carrà ha lavorato più volte, come ha funzionato con una persona così lontana da lei come generazione?
«Mi piace lo choc che produce il confronto generazionale e mi piace l'energia di chi ha un'età diversa dalla mia. E Raffaella ne ha tanta, per questo ho voluto remixare Far l'amore con lei e poi Forte. Far l'amore faceva parte della mia collezione di italo-disco che porto sempre con me. Quel pezzo lo ascoltavo da quando è uscito in 45 giri e Forte, forte, forte era il lato A. Quando ci siamo incontrati Raffaella mi ha detto: Non faccio nulla da dieci anni, ma con te lavoro subito. Ed è stato successo istantaneo».

A proposito di personaggi di altra generazione, il suo primo successo è stato Gym tonic con Thomas Bangalter dei Daft Punk, dove avevate campionato la voce di Jane Fonda presa dai suoi video di fitness. E lei non la prese bene.
«Il fatto è che allora non sapevamo ancora bene come funzionava la questione dei sample. Ma poi con Jane Fonda ci siamo spiegati».

Qual è il suo pezzo più gettonato?
«Love Generation è il successo più grande, con due milioni di dischi venduti, ed è la chiave che mi ha fatto diventare star».

Nella sua vita così frenetica, senza un attimo di respiro, prevede anche nuove uscite discografiche?
«Proprio in questi giorni esce un mio disco con Akon, il rapper e produttore americano di origine africana che ha lavorato con Michael Jackson e Lady Gaga».

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