Dylan risponda o rifiuti il premio Nobel: l'accademia di Stoccolma non riesce a contattare il cantautore

Dylan risponda o rifiuti il premio Nobel: l'accademia di Stoccolma non riesce a contattare il cantautore
di Mario Ajello
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Sabato 15 Ottobre 2016, 11:02 - Ultimo aggiornamento: 16 Ottobre, 12:44
Squilla a vuoto il telefono di Sua Bobbità. Lui, Bob Dylan, non risponde agli accademici di Svezia desiderosi di comunicargli la sua grande vittoria. Non risponde perché la risposta, come canta in «Blowin' in the wind», soffia nel vento e il vento di Bob non è diretto in queste ore verso Stoccolma? Non risponde perché Dylan è Dylan e il suo mito, assai poco poeticamente, se ne infischia di apparire maleducato? Il telefono che squilla e lui che rifiuta di parlarci dentro, ostentando con il suo silenzio un plateale e molto mediatico disinteresse per il premio ricevuto, fa venire dei dubbi sul fatto che sia stato giusto assegnare a lui il Nobel a cui tanti altri - da Philip Roth a Don De Lillo fino ad Haruki Murakami - aspirano da tempo e soffrono per non averlo ottenuto neppure questa volta.

Finalmente l'accademia svedese aveva dato dignità letteraria all'opera di un grande cantautore. Aveva allargato i confini di ciò che può dirsi poesia. Aveva consacrato la parola cantata di Dylan decidendo di incensare non la scrittura più canonica ma quella più in grado di influenzare la società del nostro tempo (anche se forse il Nobel a Bob potevano darglielo già qualche decennio fa). Ma questa bella innovazione viene rovinata dalla sparizione di Dylan. Che suscita due riflessioni.

O il telefono dell'attempato menestrello del Minnesota non funziona e il ricco premio svedese servirà anche a dotare Bob di un nuovo cellulare, ma nel frattempo egli batta un colpo per ringraziare la giuria. Oppure - invece di fare l'introvabile e di alimentare il mito del «neverending tour» che forse prevede una tappa a Stoccolma o forse no - abbia il coraggio di rifiutare l'onorificenza. Come fece Jean-Paul Sartre nel 1964. Pessime le motivazioni della non accettazione da parte del guru del goscismo francese, innamorato della Cina comunista e della Cuba rivoluzionaria: «Lo scrittore deve rifiutare di lasciarsi trasformare in un'istituzione, anche se questo avviene nelle forme più onorevoli». Magari Sartre avrebbe accettato invece, come Pablo Neruda, che pure fu un grandissimo, il Premio Stalin? Chissà. Di sicuro le motivazioni ideologiche del rifiuto erano sbagliate, ma il coraggio del no di Sarte - al netto del fatto che undici anni più tardi bussò all'Accademia di Svezia per chiedere il compenso pecuniario del premio rifiutato - potrebbe valere come buon esempio per lo schizzinoso Bob. Il quale, almeno, potrebbe avere un po' di rispetto per chi il Nobel lo ha vinto e non è stato libero di ritirarlo a causa di drammatici impedimenti. Stiamo parlando di Boris Pasternak.

Nel 1958, per il «Dotto Zivago», allo scrittore russo fu assegnato il premio ma non poté andare a prenderlo. A farlo desistere dal viaggio a Stoccolma, conscio che non sarebbe più potuto tornare in patria, fu l'opposizione micidiale del Kgb e del leader sovietico Nikita Chruscev. Insomma, un comunista (Sartre) il premio lo rifiutò. A una vittima del comunismo, Pasternak, fu impedito di ritirarlo. Mentre Dylan, che è un non comunista, fa il superiore. E sembra giocare - come fosse il protagonista sbagliato del suo «Jockerman» - con una materia così seria e che tante sofferenze ha provocato lungo il 900 e anche dopo. Basti pensare alla birmana Aung San Suu Kyi e al cinese Liu Xiaobo, ai quali è stato impossibile ritirare l'onorificenza per la pace perché imprigionati dai regimi dei loro rispettivi Paesi.

E che dire, a un altro livello, sicuramente non di tragedia, della sofferenza che comunque un Nobel non ricevuto ha scatenato in grandi personaggi della letteratura? Il premio che Sua Bobbità dà l'impressione di snobbare è lo stesso che scatenò le ire di Giuseppe Ungaretti quando, nel 1958, venne insignito Salvatore Quasimodo: «Il Nobel è andato a un pagliaccio fascista». In quell'occasione pure Eugenio Montale ci restò molto male (anche se gli accademici svedesi avrebbero riparato nel 1975) che se ne uscì così, proverbialmente: «C'è modo e Quasi-modo di fare poesia». La maniera giusta di comportamento Dylan non l'ha trovata. Eppure sarebbe semplicissima: Bob, o rispondi al telefono o rifiuta questo Nobel!