In dicembre Dylan aveva disertato la cerimonia del Nobel creando non pochi problemi. Al suo posto, l'amica Patti Smith aveva memorabilmente cantato «A hard rain's a-gonna fall» in onore del 76enne ex ragazzo di Duluth era stato incluso tra i giganti della letteratura. Presente «in spirito» ma non fisicamente come nel titolo del film del 2007 con Cate Blanchett «I Am Not There», il cantante aveva ricevuto una standing ovation e una serie di elogi, tra cui: «Come l'Oracolo di Delfi che legge il tg della sera».
Lo stesso Dylan si era presentato in aprile a ritirare diploma e medaglie in aprile, in una cerimonia strettamente privata in un hotel di Stoccolma. Oggi, con conferenza e assegno, la fine dell'avventura. «Appena ricevuta notizia del premio, mi sono chiesto in che modo le mie canzoni riguardassero la letteratura. Ho voluto riflettere e trovarne il nesso», esordisce Dylan nel discorso citando Buddy Holly, che vide in concerto poco prima della morte quando l'ex Bobby Zimmermann era ancora teenager: «Mi guardò dritto negli occhi e mi trasmise qualcosa. Non sapevo cosa. E mi diede i brividi».
E poi il cantante folk e blues Leadbelly e la musica folk, per poi passare a classici della letteratura assorbiti degli anni del liceo: «Moby Dick» di Herman Melville, «Niente di nuovo sul fronte occidentale» di Remarque e l'«Odissea» di Omero, «un libro eccezionale» i cui temi del viaggio senza meta, l'avventura, il pericolo e il ritorno a casa in un luogo cambiato ricorrono nelle ballate di molti autori.
Per Dylan, le canzoni «sono vive nella terra dei vivi. Ma le canzoni non sono letteratura. Devono essere cantate non lette. Le parole delle commedie di Shakespeare devono essere recitate sul palco. Proprio come le parole delle canzoni devono essere cantate, non lette sulla pagina». Dylan torna ancora a Omero: «Diceva: 'Canta, o Musa, e attraverso me narra la storià».
© RIPRODUZIONE RISERVATA