Auguri a Franco Battiato, il filosofo del pop compie settant'anni

Franco Battiato (ilmessaggero.it)
di Giacomo Perra
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Lunedì 23 Marzo 2015, 16:33 - Ultimo aggiornamento: 24 Marzo, 21:14

Settant’anni tra innovazione e successi mainstream. Franco Battiato li compie in un momento di non eccezionale forma fisica - si è rotto il femore qualche giorno fa in Puglia durante un concerto - ma (come sempre) in gran spolvero artistico.

Il suo ultimo disco, “Joe Patti’s experimental group”, in cui dopo circa quattro decenni ha ritrovato sonorità elettroniche, sconosciute ai suoi fan più giovani, ha conquistato il consenso di pubblico e critica e il tour, al netto dell’incidente capitatogli sul palco, ha richiamato il solito nutrito gruppo di appassionati. Insomma, Battiato è come il buon vino: invecchiando migliora.

Nato e cresciuto a Iona, piccolo comune del catanese e della sua amatissima Sicilia - non a caso oggi festeggia il compleanno nel suo buen ritiro di Milo, paesino a un tiro di schioppo dal capoluogo etneo dove aveva casa anche Lucio Dalla - il cantautore-filosofo più amato dai musicofili italiani debutta sulla scena della canzone all’inizio degli anni Sessanta. È un esordio all’insegna del pop, un mondo che, però, all’eclettico e colto Francesco Battiato - così, col suo nome di battesimo, pubblica nel ’65 il suo primo 45 giri, “L’amore è partito” - sta un po’ stretto.

Il decennio successivo, perciò, diventa quello dell’avanguardia e l’artista siciliano, incrociata nel suo cammino l’etichetta discografica “BLA BLA Records”, poi lasciata per la “Ricordi”, abbraccia la musica sperimentale, dando vita a lavori quali “Fetus”, “Pollution”, “Sulle corde di Aries”, “M. elle le “Gladiator”” e “L’Egitto prima delle sabbie”, in cui l’utilizzo del sintetizzatore e della batteria elettronica, sconosciuti prima di allora alle nostre latitudini, la tecnica a collage, con registrazione di suoni e versi presi da situazioni e contesti differenti, la rinuncia agli strumenti classici del rock in favore, ad esempio, di oboe e violoncello, e altri espedienti acustici per noi rivoluzionari si mischiano a una scrittura enigmatica e ispirata ad argomenti di non facile presa.

Anticipati da “L’era del cinghiale bianco”, del 1979, che strizza l’occhio alla new wave, gli anni Ottanta invece segnano il ritorno al pop e l’inizio della sua grandissima e mai sopita fortuna commerciale. La “voce del padrone”, simbolo di questa nuova era, caratterizzata da un approccio sempre comunque sofisticato e mai banale e scontato in sede di composizione di melodie e testi, diventa nel 1981 il primo long playing italiano a superare il milione di copie vendute, assegnando all’artista di Iona il posto di rilievo che conserva tuttora nella nostra musica.

Tra ironia e poesia, nei lavori successivi Battiato, che ha avuto anche il merito di lanciare talenti come Alice e Giuni Russo, assegna uno spazio sempre più importante a tematiche mistiche e filosofiche. Chiuso il decennio precedente con “Fisiognomica”, che contiene “E ti vengo a cercare” e “L’Oceano di silenzio”, brani interpretati anche davanti a Giovanni Paolo II - è stato il primo cantante pop a esibirsi in Vaticano -, nei Novanta, in cui si acuisce pure l’influenza della musica sacra e araba, del resto, l’artista siciliano comincia la sua collaborazione con il celebre pensatore Manlio Sgalambro, morto nel 2014.

Insieme a lui realizza tutti i lavori successivi - da “L’ombrello e la macchina da cucire”, del 1995, ad “Apriti sesamo” del 2012 -, fatta eccezione per “Joe Patti’s experimental group”, uscito dopo la scomparsa di Sgalambro.

Messosi alle spalle il suo ultimo disco, ora Battiato, che si è cimentato con successo anche nella regia cinematografica e nella pittura e ha avuto una breve e burrascosa parentesi politica come assessore della Giunta siciliana guidata da Rosario Crocetta, pensa già al prossimo: in autunno uscirà un best of da lui stesso definito “incandescente”. Non vediamo l’ora, ancora auguri.