Alaimo: «Sono il Factotum e Rossini è il mio datore di lavoro»

Il baritono Nicola Alaimo
di Simona Antonucci
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Martedì 18 Dicembre 2018, 00:10
 «Dedico questo disco al mio datore di lavoro. Lui è un genio. E io, il suo... Factotum». Nicola Alaimo, baritono, palermitano («in verità di un paesello lì vicino, ma sono cresciuto in città») ha presentato il 17 dicembre, alle 18, nella Sala dei Medaglioni al Conservatorio di Santa Cecilia la sua ultima uscita discografica. Titolo: “Largo al Factotum” (edizioni Bongiovanni) per celebrare i 150 anni della morte di Rossini, «la mia stella», aggiunge il cantante, «e il mio... stipendio».

Le opere del compositore di Pesaro ha cominciato a canticchiarle quando aveva due anni, seduto sulle ginocchia della nonna che lo accompagnava al pianoforte, o facendo il verso alla musica del mangiacassette con i brani registrati dallo zio Simone, un basso-baritono, allora già famoso. «La calunnia è un venticello», racconta, «era la mia filastrocca preferita».

Artista di riferimento del panorama nazionale e internazionale, non ha mai tradito l’autore delle sue prime “canzoncine”: è infatti ospite regolare del Rossini Opera Festival, dove dal “Guillaume Tell” al “Barbiere di Siviglia”, dalla “Cenerentola” al “Turco in Italia”, ne ha interpretato le opere più significative. E proprio a Pesaro ha trasferito la sua residenza e l’intera famiglia.

Deve tutto a sua nonna?
«E agli zii. Simone e la moglie Vittoria Mazzoni, molto più paziente di lui. Dal conservatorio andai via prestissimo. Non mi trovavo. E grazie a loro ho partecipato al concorso Giuseppe Di Stefano, a Trapani. Vinsi e arrivò il mio primo ruolo, Dandini, in “Cenerentola”. La motivazione non la dimenticherò mai: non è più una promessa, ma una certezza».

Poi però voleva mollare. E ci pensò il maestro Riccardo Muti a ridarle certezza.
«L’inizio fu pesantissimo. Conti in rosso. Cena con pane e latte, senza neanche lo zucchero. Per trovare lavoro dovevo andare in giro. E andare in giro costa. Mi chiamarono per una cover del Conte di Luna, in un “Trovatore” a Ravenna. E Cristina, la moglie del Maestro mi disse: torna tra tre mesi ma con dieci chili di meno. Tornai. Un po’ più magretto, si fa per dire. Muti era lì in teatro. Mi ascoltò nell’aria “Il balen del suo sorriso”. Dopo sei mesi debuttai con lui alla Scala».

E i chili? Sono rimasti?
«Sono, diciamo, un po’ tracagnotto. Ma che c’entra. È diventata una follia questa storia del peso. Siamo arrivati al punto che alcuni registi ci valutano più per il fisico che per la voce. Aldo Fabrizi, che secondo me è un gigante, allora, non doveva recitare. E invece era immenso sia nel repertorio drammatico, sia in quello comico. Mi verrebbe da dire... ma teneteveli i palestrati. Ovvio che non farò mai Don Giovanni, ma Figaro... persino nel testo c’è scritto che è tondo».

La vedremo invece in che opere?
«“Simon Boccanegra” a Parigi.
Poi farò “Cenerentola” alla Scala, “Falstaff” e a Marsiglia debutto in “Rigoletto”». Che cosa dirà oggi ai ragazzi del Conservatorio? «Si lavora meglio fuori. In Italia è un po’ deprimente. Ma non mollate. Parola di un Factotum». 
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