Volti femminili, pesci, elmi e curiosi occhiali da sole: “Illusion”, la prima personale dell’iraniana Afarin Sajedi

Illusion (Afarin Sajedi - DCG)
di Sabrina Quartieri
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Domenica 10 Aprile 2016, 11:48 - Ultimo aggiornamento: 13 Aprile, 16:55

Cinque tele sconvolgenti per raccontare il tema dell’illusione, tra volti femminili, pesci, elmi e curiosi occhiali da sole: dopo il successo della collettiva “God is her Deejay” e dell’evento speciale “Printemps Parisien”, l’artista iraniana Afarin Sajedi torna alla Dorothy Circus Gallery di Roma con “Illusion”, la sua prima personale ufficiale. Ospitata e curata dalla galleria di via dei Pettinari, questa mostra verrà inaugurata il 16 aprile prossimo alle 19.30 con un opening alla presenza dell’artista e fino al 30 maggio condurrà il pubblico nella surreale atmosfera delle nuove opere esposte: nella Red Hall lo spettatore si troverà di fronte a dei dipinti caratterizzati da una figura femminile centrale che emerge da uno sfondo delicatamente colorato, spesso interrotto da elementi naturali che attraversano lo scenario. 


La serie comincia con un profilo, da cui spicca un pesce, usato come insolito e surreale copricapo; continua poi con la prima vista frontale, dove la donna sembra avvilita, con gli occhi chiusi, raccolta a meditare, coperta da un elmo che la protegge. Questo elemento tiene la figura distaccata dal mondo esterno, così da poterle concedere di dedicare tutte le sue attenzioni al pesce, che ora si trova disteso proprio sotto il suo mento. Nella seconda visuale frontale, il volto si rivolge allo spettatore, fissandolo con uno sguardo lucente, come per cercare qualcuno con cui comunicare. Tutto ad un tratto ecco che il pesce sparisce dalla scena, lasciandone pochi frammenti, e alla fine un taglio fotografico interrompe la serie mostrando la stessa donna in un posizione asimmetrica, coperta da un elmo che,  prevalendo la composizione, la sovrasta. I suoi occhi sono coperti da curiosi occhiali da sole, che sembrano voler interrompere il suo desiderio di confidarsi con lo spettatore. 

Il nuovo progetto di Afarin Sajedi arriva come un punto di rottura rispetto alla sua passata produzione artistica: se prima, infatti, i suoi volti affioravano da uno sfondo profondo e scuro, per descriverne una forte sofferenza, ora le figure sono quiete e vestite con accessori che rimandano al Futurismo. Nonostante apparentemente sommerse in un profondo mare di quiete però, le donne dipinte da scuri pennelli hanno l’intenzione di indagare l’animo umano, portando alla luce i temi legati sia a determinate realtà socio-politiche che all’esperienza delle emozioni più intime. La parola chiave “illusione” si mescola alla parola “pace”, che va intesa non come la cessazione di ogni dolore, ma come un nuovo punto di vista dal quale l’atto di sognare e di amare acquista importanza. Due forze primarie, il sogno e l'amore che, secondo l’artista, dominano il mondo femminile. Tale costante può essere metaforicamente visualizzata in ciascuno di questi lavori, in cui ogni cosa è enigmatica, sospesa, indefinita, costantemente al limite tra realtà e immaginazione. L’illusione si riferisce anche al regno della magia, in cui l’atto del creare una realtà ingannevole può raggiungere un tale successo da generare un’utopia, nata dall’illusione stessa, in cui è facile rimanere intrappolati.

Insieme a queste grandi tele, Afarin Sajedi esporrà dei piccoli lavori che propongono un differente approccio alla sua produzione artistica. Influenzati dall’interesse dell’artista per l’arte classica e le illustrazioni, queste tele percorrono un flusso narrativo, raccontando una storia che è più figurativa e meno evanescente agli occhi dell’osservatore. Più di un personaggio appare sulla scena, mentre la figura umana presentata è ambigua e delle volte sostituita da animali o solo da alcune loro parti. Nuovamente, il pesce attrae l’attenzione come un riferimento simbolico che allude al flusso delle emozioni, che pulsano nelle donne ritratte. I volti, interrogando gli osservatori, invitano a scoprire i significati più profondi di questa simbologia. I loro occhi sono quasi sempre chiusi, come ad evidenziare non solo le privazioni che queste donne sono costrette a subire quotidianamente, ma anche la possibilità di osservare il mondo attraverso un “una propria visione” più intima e non necessariamente fisica. La loro esperienza e la loro abilità di percepire le emozioni, è ciò che le rende ai nostri occhi forti e estremamente affascinanti (Dorothy Circus Gallery, via dei Pettinari 76, Roma; www.dorothycircusgallery.com).

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