Gaetano Pesce al Maxxi, il designer si racconta: «È finito il tempo dei cloni»

Gaetano Pesce al Maxxi, il designer si racconta: «È finito il tempo dei cloni»
di Massimo Di Forti
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Mercoledì 25 Giugno 2014, 11:31 - Ultimo aggiornamento: 27 Giugno, 18:50

Immaginifico e gioioso, come in una fiaba di Lewis Carroll, Gaetano Pesce con il suo Design delle Meraviglie ha invaso gli spazi del Maxxi per invitarci a vivere Il tempo della diversit (emblematico quanto felice titolo di una retrospettiva paradossalmente lanciata verso il futuro, aperta dal 26 giugno al 5 ottobre in via Guido Reni e curata da Gianni Mercurio e Domitilla Dardi per il Maxxi Architettura diretto da Margherita Guccione).

È una total immersion nella fantasia di un irridente anarchico della creatività che fin dagli anni 60 inventa oggetti unici e sorprendenti, nel segno dell’imperfezione, della casualità, del gioco, della dismisura. Fortemente voluta dalla presidente Giovanna Melandri (ha scoperto per caso di essere nata nella stessa casa di Manhattan dove abita Pesce!), in un percorso che si snoda in 7 sezioni (Non standard, Persona, Luogo, Difetto, Paesaggio, Corpo, Politica) la mostra esibisce disegni e oggetti cult del grande artista-designer definito da Carlo Scarpa «l’uomo di schiuma» per l’uso prediletto dei materiali plastici schiumati mentre Mercurio ne sottolinea il talento narrativo («Ogni suo oggetto» dice «racconta una storia»).

Ci sono due installazioni realizzate apposta per l’evento, una sul Tempo («Il tempo cambia sempre. Quello di oggi non è quello di ieri né quello di domani. Che guaio, guardare al passato») e l’altra che si impone maestosa sulla piazza del museo ed è una versione gigante della mitica poltrona Up5 del ’69 ispirata a un corpo di donna sdraiata con un palla al piede («Una protesta contro le continue violenze subite dalle donne»).

E ci sono molti capolavori come la Greene Street Chair con otto gambe flessibili che possono farla camminare, l’imponente lampada Moloch, il tavolo Sansone in plastica colata, i mobili della serie Nobody’s Perfect di questo maestro convinto che la perfezione sia la madre di tutte le noie. Dice lapidario, il volto intenso e luminoso accarezzato da una leggera barba bianca: «L’imperfezione crea unicità. La differenza porta nella serie il brivido vivificante della casualità».

Esiste un filo rosso che unisce una retrospettiva di un artista e la sua condizione di sperimentatore del futuro?

«La curiosità. È l’essenza stessa del mio essere. Essere curiosi significa essere attenti a quel che succede nel mondo. Ci sono sempre novità in arrivo e scoperte da fare, purché si abbia la sensibilità di capirle. Soprattutto i giovani devono aprirsi alle differenze che sono il motore della creatività. Omologare uomini o oggetti è terribile».

Si può dire che questa è una mostra contro la clonazione?

«Certo! Il nostro non è più il tempo delle copie ma quello degli originali. In questo senso, abbiamo possibilità che pochi anni fa sarebbero state impensabili».

I materiali delle opere sono quasi sempre morbidi. Perché?

«L’instabilità, l’elasticità, la liquidità e quindi la morbidezza sono espressioni del nostro tempo. I valori del mondo moderno rifiutano la rigidità: sono mobili, flessibili. Femminili. Non ho dubbi, il futuro appartiene alle donne. Con le loro capacità intellettuali e organizzative, se avranno più potere, sarà un bene per tutti. Miglioreranno il mondo».

Si è detto che la donna è mobile, ma nel caso di Pesce anche la sedia, come la Greene Street Chair, è mobile...

«Sì. Gli oggetti debbono essere all’unisono con i tempi. Oggi non debbono essere statici, ma agire. Avere vita. Purtroppo queste qualità non vengono associate al design che finora è stato considerato un parente minore dell’arte mentre io credo che sarà l’arte del futuro».

Gaetano Pesce è più artista o designer?

«Non riesco a pensare in termini di divisioni settoriali. Il Rinascimento ci ha dato la lezione di uomini come Leonardo che erano sia artisti che scienziati e non avevano barriere creative. Questa è una mostra multidisciplinare. Oggi siamo informati su tutto. Non possiamo essere limitati dalla specializzazione. Anche nell’arte. E così la mostra spazia dal disegno alla musica».

C’è molto orgoglio italiano nella retrospettiva, il tricolore coinvolge diverse opere...

«È vero. Mi sembra legittimo, tenendo conto che in genere noi tendiamo a svalutarci. Per questo ho proposto, con una mia opera, che il nostro passaporto di paese dell’Unione europea avesse la scritta che la Repubblica italiana è sede del 66 per cento dell’arte mondiale. Credo che conti qualcosa».

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