L'arte contemporanea oggi e quel mercato sconsiderato

Music of the future
di Verdiana Garau
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Domenica 20 Dicembre 2015, 19:40 - Ultimo aggiornamento: 26 Dicembre, 17:07
Consideriamo l’arte come un territorio, una piattaforma o un luogo dove le idee diventano realtà, prendendo le sembianze di forme, forme che possono offrire la visione di un aspetto o più aspetti di queste idee. Come dice Mirabelle Marden, moglie di Brice Marden (artista contemporaneo del minimalismo americano), a volte la tendenza oggi e “l’errore comune, è di considerare l’arte astratta più facile, più veloce, una specie di slang democratico, tutto volume e nessun contenuto”. Le idee sono si per sé astratte, e certo non prive di contenuto, l’arte è la materializzazione delle idee che diventano reali nella concretezza di un pezzo d’arte. O almeno dovrebbe esserlo. Futile, utile? Bello? Brutto? Possiamo interrogarci e cercare di rispondere a queste domande solo con i giusti mezzi e la conoscenza in materia, ma anche il nostro istinto e personalissimo giudizio sulle questioni di utilità e sul gusto estetico talvolta ci possono guidare.

Stiamo parlando di oggetti che parlano, in fondo, no? Il linguaggio è sempre soggetto a interpretazione e soprattutto non parliamo tutti la stessa lingua. Abbiamo immagini, colori, oggetti, forme, suoni e melodie, diversi materiali, che possono diventare addirittura monumenti e ci comunicano qualcosa, interagiscono con le nostre percezioni e che diventano poi composizioni di un alfabeto da capire e che può raccontare una storia. Un gesto, un’emozione, un’ideale, uno stato d’animo, che trae ispirazione dalla massa e dalla natura, (al giorno d’oggi più massa, intesa come società umana, che natura) e viene interiorizzato e rielaborato dal soggetto unico, cioè l’artista, che osserva e che poi produce l’oggetto. Il fuori influenza il dentro e il dentro influenza il fuori.

L’arte ci parla, non è solo qualcosa da guardare, ma da ascoltare e da capire. Serve tempo e dedizione come con le persone. Cerchiamo di fare strada a chi si chiede, come tanti, cosa in realtà sia l’arte di fronte al mercato dell’arte, cosa l’arte debba rappresentare e comunicare, in che modo può essere utile e cosa o chi detta il suo valore e le leggi del suo mercato. Soprattutto quando intorno all’arte girano vorticosi milioni e milioni di dollari.

Ci sono persone che ci sono nate dentro, che conoscono il mondo dell’arte fin da bambini, altri che accidentalmente hanno cominciato a farla o a intraprendere e a specularci sopra senza un punto di origine radicato e unico. Ci sono persone che la studiano e si lambiccano il cervello per tentare di divulgarla e spiegarla, renderla leggibile, catalogarla, perché un giorno possa essere più facile reperirla e ritrovarla tra gli indici delle enciclopedie e possa essere d’ispirazione, modello da seguire o da rigettare, ma comunque spunto critico. L’arte è un mezzo di comunicazione. Potentissimo.

Il punto sta nella qualità di questa arte e se sommate tutte le parti di questo lungo discorso, l’arte è cultura e produce cultura nel presente, si proietta nel futuro e diventa passato, diventa storia. Quindi l’arte non è solo una “cosa” ma è anche il come, il chi e il quando. Il valore di un’opera è dettato da molti variabili fattori. Il prezzo sul mercato di un’opera d’arte viene fissato sullo storico, sul grado di impatto estetico e mediatico, dal volume di richiesta di quell’opera, la sua reperibilità, il numero di copie esistenti, ma anche sul lungo lavoro che si può celare dietro il compimento dell’opera stessa, cioè la fatica dell’artista e il suo spessore morale e fisico di applicazione alla e sulla materia.

L’arte parla. L’arte a volte non è bella. Anzi è scomoda. L’arte è cool, l’arte è noiosa. L’arte è rumore, ma anche contemplazione silenziosa. Prendiamo come modello di riferimento l’arte di oggi, quella contemporanea, e per contemporaneo si intende tutta l’arte dal post-impressionismo in poi e gettiamo un occhio di riguardo all’arte presente. È meglio un pallone gonfiato da 2, 3, 4 milioni di dollari firmato Jeff Koons o una tela allo stesso prezzo di Peter Doig? È più giustificato il prezzo di un Warhol o di un Picasso? Chi può dirlo?

Nel mercato dell’arte figurano collezionisti, ricchi amatori o persone che investono i risparmi di una vita per finalmente comprarsi il quadro da appendere in salotto al quale anelavano da tempo, ma soprattutto dietro le quinte ci sono investitori e imprenditori. Un nome, così non proprio a caso, Larry Gagosian. Gagosian è il più grande tra gli art-dealer dei nostri giorni, un magnate nel mondo dei galleristi e dell’imprenditoria in genere, un uomo che spende il suo tempo sparato in aria sui suoi jet privati, organizzando super party con artisti, uomini di Wall Street e altri dealers nella sua casa di Upper East Side a Manhattan. Larry Gagosian, un signore di origine armena, ha un background non proprio ortodosso, non viene da una famiglia di art-dealers, si è fatto da solo cominciando a lavorare in un negozio di dischi quando era più giovane e il suo acume, la sua percezione e velocità, lo hanno trasformato in quello che è oggi.

C’è chi lo definisce il McDonald dell’arte in tempi in cui giornalisti del NYT definirono già qualche anno fa l’era di questa arte contemporanea “an art market that has recently gone Code Xanax” un mercato dunque drogato e malato e che fa di questa malattia la sua identità. Altri lo definiscono un uomo d’affari che pratica soltanto politica del rischio calcolato e che tratta l’arte come una commodity, ossia mera merce di lusso da import-export.

Larry Gagosian è un idolo, una star, un grande amico di Leonardo di Caprio, un uomo evidentemente con pochi scrupoli, geniale, controverso e contestabile, odiatissimo e ammiratissimo, tante sono le critiche che la sua potenza suscita in tutto il mondo a tutti i livelli. Sicuramente spirito dotato di assoluta percettibilità, puro senso e pura emozione, celata da un aplomb che non lo fa mai scomporre in pubblico e che si trasforma tragicamente in montagne di danaro. Lui può farlo, lui è capace... e ritorniamo sulla controversia e possiamo metterci a fare tutti i discorsi sulla morale che vogliamo e snocciolare la nostra voglia di abbattere i capitalizzatori sfrenati, ma perderemo il focus del discorso.

Ci sono persone come Monsieur François Odermatt e la sua animalità che lo contraddistingue, uno degli art-dealer più incredibili al mondo, un occhio di falco, una profonda sensibilità verso la bellezza e una profonda conoscenza di cosa voglia dire fare buona arte, e produrre qualità. Tra i dieci collezionisti più importanti al mondo Odermatt scala in pochi anni la vetta, al contrario di Gagosian è cresciuto in una famiglia di mercanti d’arte, ha respirato e imparato da dentro cosa sia la compravendita nel campo e ha speso e spende tutto il suo tempo, tutta la sua vita in funzione di questo. Si muove agile, leggero e puntuale nel cogliere la bellezza nascosta tra le giovani promesse, promuovendo artisti under 35, aiutando artisti che provengono da paesi dove addirittura produrre arte è un reato e si accaparra tra i pezzi più incredibili che il mercato offre, da Rudolf Stingel a Anselm Keifer, da Danh Vo a Takashi Murakami. Odermatt ha occhio, un super occhio e figura tra i geni animali della scena sullo spietato teatro del mercato d’arte.

Ci sono altri art dealers come Matthew Marks, fondatore della Matthew Marks Gallery che vengono definiti dai collezionisti come qualcuno al quale gli artisti arrivano non per il fatto che Marks sia un businessman. Eli Broad, famoso collezionista, dice di Marks che è rispettato per il suo indiscutibile gusto che porta in tutto quello che fa. Abbiamo cercato di interrogare la Matthew Marks Gallery e la domanda che avevamo in tasca era: "Cosa è per voi il mercato dell’arte oggi?"; "Oggi, quando qualche giornalista ha definito questo mercato 'gone on Code Xanax', voi vedete qualche risvolto etico corrispettivo dietro l’art dealing che un art dealer esercita nel suo stesso fare business?".

Non hanno voluto rispondere, non c’è stata esposizione da parte loro se non l’affermare che questa domanda difficilmente si applica al tipo di arte che trattano. Ci rispondiamo noi citando ancora una volta l’intervista che Mirabelle Marden ha fatto a suo marito Brice Marden. Ricordiamo che Brice Marden è correntemente esposto presso Matthew Marks Gallery a New York nella galleria di Chelsea al 523 West di 24th Street. «In questa società super-capitalistica, tutto si trasforma in denaro. E una delle cose più grandi riguardo all’arte, è che niente infine davvero conta. Tutto è assolutamente libero. Non importa cosa o come. Le persone fanno arte, incidendo sul fango, disegnando sui muri, qualsiasi cosa. Ciò che conta è che deve essere fatto e basta. E questo la dice lunga su l’espressione umana tutta».
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