Eco e le verità occulate: l'anticipazione del suo ultimo romanzo "Numero Zero"

Eco e le verità occulate: l'anticipazione del suo ultimo romanzo "Numero Zero"
di Renato Minore
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Giovedì 1 Gennaio 2015, 23:12 - Ultimo aggiornamento: 10 Gennaio, 19:52
Numero zero, il fascicolo di prova di un giornale o di un periodico prima della sua pubblicazione. Una sorta di esperimento, un laboratorio per vedere come e se funziona, per avviarne la navigazione, aggiustarne la rotta. Nel caso di “Domani”, diretto da una vera volpe del giornalismo degli anni Novanta, la prova, il laboratorio sono fissati in ben dodici mesi; dopo di che si vedrà, e, quasi sicuramente il quotidiano non uscirà mai.



Spiega così il direttore al suo primo collaboratore, il giornalista mezzo fallito Colonna che proviene da quotidiani di provincia con facchinaggio culturale in casa editrice, “negro” di libri firmati da altri. E gli propone anche una sorta di secondo contratto che prevede di scrivergli un libro sulla sua esperienza professionale. Ovviamente e opportunamente ritoccata, per trasformarlo in un santino e un martire dell’informazione democratica, volpina uscita di sicurezza per entrambi.



Il sesto romanzo di Umberto Eco Numero zero (in libreria dal 9 gennaio per Bompiani) è una storia che affonda la sua tentacolare radice nel mondo dell’informazione di più di 20 anni fa, e di lì si spinge indietro come ha fatto spesso lo scrittore, in complotti e (fanta)storia, tragedie e segreti degli anni del dopoguerra, Gladio, la loggia P2, Gelli e il golpe Borghese, il terrorismo delle Br, la misteriosa morte di Papa Giovanni Paolo I, i servizi segreti deviati, l’ombra della Cia.



RICATTI

E lo fa raccontando la vita quotidiana della redazione che prepara il giornale, destinato – più che a una legittima informazione – ad altri obiettivi meno visibili, e più concreti. Ricatti, bassi servizi, dossieraggio, anche quella che si chiamerà, con formula aggiornata, la “macchina del fango”. Tutto questo anche per gli interessi dell’editore, tale commendatore Vimercate, che lo usa come cuneo per penetrare nei salotti buoni della finanza, dopo aver fatto fortuna nella costruzione di alberghi e case di cura, televisioni locali e traffici vari.



La redazione è piuttosto scalcagnata, nessuno viene da esperienze qualificanti, chi è specializzato in rivelazioni scandalose, chi in giochi ed enigmistica, chi in ospedali e commissariati, chi ha rapporti con poteri più o meno occulti che tramano da sempre nella nostra storia. Nelle riunioni redazionali prendono corpo la filosofia e l’anima “vera” del giornale. Soni i giorni in cui è appena scoppiato lo scandalo di Tangentopoli, con l’arresto di Mario Chiesa: “Domani”, che ancora non è in edicola, può sperimentare la sua linea dichiarata e quella occulta, può verificarla alla prova con i fatti. Quei fatti che bisognerebbe sempre citare. Ma «non sono le notizie che fanno i giornali, ma il giornale che fa la notizia, la notizia è una bella espressione, la facciamo noi e bisogna farla venire fuori tra le righe, i giornali non sono fatti per diffondere ma per coprire le notizie», questa il lapidario convincimento del direttore.



Ovviamente per lui c’è il rapporto con Vimercate e così si affretta a dire che non deve rendere conto all’editore delle scelte editoriali, quello non l’ha mai influenzato. Ma poi affiora qualche dubbio più che legittimo e qualche inevitabile conseguenza nella scelta dei temi. L’inchiesta sugli ordini cavallereschi più o meno fasulli non si può fare, getterebbe ombra di sospetto e addirittura di ridicolo sulla commenda del “nostro Commendatore”. E neppure quella sulla riduzione dell’inquinamento atmosferico, cui non si sa se il nostro sia interessato davvero. Cautela anche sull’analisi della moda del telefonino appena nato in quel periodo, forse perché anche qui lui, il Grande Capo, vuole mettere mano.



Si muove, in questo modo, una macchina di finta produzione d’informazione che si roda nelle scelte, nei temi, nelle tecniche, nei protagonisti, nelle comparse, con la felicità dell’invenzione narrativa così circoscritta che rende sempre viva, grottesca, ironica, paradossale la scrittura di Eco. Sia quando teorizza su come un giornale debba «smentire una smentita» in cui affiora tutto il suo sapere sull’analisi del linguaggio giornalistico, tramutato in scintillanti immagini e situazioni. Sia quando stila una lista di “macchine comode” di quegli anni, preso dalla vertigine dell’elenco, come egli stesso ci ha insegnato in un suo immaginifico saggio di qualche anno fa. Discussioni, baruffe, camuffamenti, dissimulazioni si rincorrono nella pagina dall’uno all’altro.



Dal direttore che, nel nome delle sue convinzioni («I giornali seguono le tendenze della gente o le creano? Tutte e due. La gente all’inizio non sa che tendenze ha, poi noi glielo diciamo e loro si accorgono che le avevano.»), decide di non far scrivere nulla sull’uccisione di Falcone. E di gettare ombra, tramite l’occhio “oggettivo” del cronista, su un giudice ficcanaso “stranificando” ciò che egli fa.



GOSSIP

Fino a Gaia, la giornalista specializzata nel gossip su affettuose amicizie che vive un’esile storia d’amore con Colonna, a Lucidi, l’esperto in dossier («basta far circolare la voce che esistono, non esibirli»). Fino al “paranoico” Romano Braccadocio che, tra le sue vicende scandalose, insegue la più incredibile di tutte: quella per cui il Mussolini che parlava con il suo ultimo intervistatore non era lo stesso che parlava con il partigiano Pedro poco prima di morire e la sua ombra inquietante si proietta sugli avvenimenti che verranno, autopsie, trafugamenti di salme, tentati colpi di stato, tanti segreti e tragedie degli anni del dopoguerra. Una storia “inventata” (da un invasato? da un mitomane? da un giornalista a caccia di scoop sensazionali?), ma molto “romanzesca”, inseguita nella Milano di Via Baghera con l’ombra di un ottocentesco Jack lo Squartatore meneghino, del Verziere tra le carcasse di malandrini, anime dannate e banditi, di Via Morigi con le case ancora sventrate dai bombardamenti dell’ultima guerra, della vecchia Taverna Morigi, tra artisti e randagi: i personaggi si mescolano ai luoghi e i luoghi generano piccoli e felici frammenti di racconto in questi scorci di città rievocati con nostalgia. E anche una storia “vera” (la “realtà” supera la fiction ), inverata dall’omicidio di Braccadocio nella via più stretta e malfamata di Milano e da una successiva trasmissione televisiva della BBC, la prova che tutto quel garbuglio è “vero”.



O almeno tale appare: come una specie di macchina centrifuga intorno a cui si addensano misfatti, delitti, travestimenti d'ogni tipo, nelle confessioni dei suoi tanti protagonisti che occupano tutto l’orizzonte occulto della storia italiana degli ultimi cinquant’anni, “i traffici en plein air” come dipinti dagli impressionisti, «la corruzione autorizzata, il mafioso ufficialmente in parlamento, l’evasore al governo e in galera solo i ladri di pollo albanesi».



Già nel Pendolo di Foucault Eco aveva messo in scena l’ossessione del complotto e in Baudolino aveva dato vita a un piccolo (ma delizioso) furfante che annega nelle sue invenzioni. Nel Cimitero di Praga la storia del complotto e quella del falsario geniale (e malefico) si fondono nell’incalzare dei colpi di scena che ricostruiscono la tabe cospirazionista.



Ora Eco ha fino in fondo seguito le tracce disseminate del suo grottesco apologo in cui la continua falsificazione della parola giornalistica fa come riaffiorare la “verità”, «la calma sfiducia nel mondo che ci circonda» scrive alla fine Colonna che ha vissuto l’incubo – reale o paranoico anch’esso? - di essere spiato, di essere in pericolo. Quella “verità” nascosta dietro la continua menzogna e mistificazione di una storia civile e politica che in ogni caso, restituita al racconto che la incalza la circoscrive la definisce, ci appartiene e appartiene a chi la ha così abilmente inseguita. E che poi sembra prolungarsi oltre quel fatidico 1992, in un «paese dove le cose continueranno ad andare come sono andate, dove se ti siedi in pizzeria temi che il tuo vicino sia una spia dei servizi o stia per uccidere il nuovo Falcone, magari facendo scoppiare la bomba mentre tu passi di là».
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