Imparare a scrivere insieme ai grandi scrittori, il manuale di Guido Conti

Imparare a scrivere insieme ai grandi scrittori, il manuale di Guido Conti
di Luca Ricci
3 Minuti di Lettura
Sabato 12 Novembre 2016, 09:31
Viviamo in un’epoca in cui la narratologia si è costituita come appendice (degenerazione?) del vecchio strutturalismo, non a servizio della critica, bensì degli scrittori. Nata per sviscerare un testo a posteriori, col tempo si è trasformata in una sorta di generatore di ricette per la produzione di libri dai procedimenti impeccabili e dal preciso target di riferimento. Questa distorsione- a cui hanno contribuito anche alcuni brutti corsi di scrittura- ha dato l’illusione che la creazione letteraria combaciasse con le regole narratologiche. E’ vero esattamente il contrario: la narratologia non coincide con la letteratura. Anzi, verrebbe da affermare che la letteratura come specificità, come fantomatico quid, è esattamente il risultato di una semplice operazione algebrica: bisognerebbe sottrarre al totale dell’opera la parte delle regole narratologiche. Grazie a una formula simile, capiremmo perfino che la letteratura spesso si dà in quanto infrazione delle regole narratologiche. 
 
Pensavo a tutto questo sfogliando “Imparare a scrivere con i grandi” (Bur- Biblioteca Universale Rizzoli, pag. 550, 15,00 €) di Guido Conti, un manuale di scrittura molto intelligente, costruito non sulle regole ma sui testi. Più precisamente, non sono mai i testi che si piegano a un nucleo di regole vincolanti, bensì sono le regole che scaturiscono dalla lettura dei testi, per poi magari subire un processo di sintesi sempre e ancora sub judice (d’altronde la storia della letteratura consiste proprio in un flusso costante di testi, in cui le scritture decodificate lasciano il posto ad altre ancora da decodificare). Ma forse il merito maggiore del manuale di Conti- in questa sua fede oltranzista nei testi- è quello di affidarsi non all'analisi di lacerti di romanzo, ma a racconti completamente autosufficienti e fruibili nell’arco di poche pagine. Così nel capitolo “L’apertura” (che lavora sul difficile compito di trovare l’inizio di una storia) si deve leggere il racconto “Angoscia” di Anton Čechov; oppure per il capitolo “Il punto di vista” (che tratta delle varie tipologie e delle varie gestioni del narratore) si comincia dalla novella “La Tana” di Franz Kafka. Così il libro diventa anche una galleria di short stories perfette, qui viste nella prospettiva- ammissibile ma non univoca- di palestra per l’aspirante scrittore.
 
Quando ormai diversi anni fa una scuola di scrittura mi chiese se fossi interessato a parlare dell’arte del racconto, non avevo la più pallida idea che l’incontro con gli allievi si sarebbe trasformato in una specie di lezione di anatomia sul "corpo" di un mio stesso testo. Di solito, si sa, lo scrittore che viene chiamato a conferire davanti a un gruppo di persone tende a gigioneggiare, preferendo magari un discorso generale, per sommi capi- quando non diventi addirittura generico, un’infarinatura di questo e di quello-, sul proprio lavoro. Provai a buttare giù qualche riga di  canovaccio rispetto a quello che allora credevo di sapere sul racconto, ma mi sentivo disorientato, sperso. Allora capii che per l’incontro con la scuola non avrei potuto prescindere dalla mia scrittura, era lì che si annidavano le mie concezioni teoriche, se mai ne avevo sviluppata davvero qualcuna, mica crescevano sugli alberi! Ed è esattamente lo stesso approccio umile (ma nient’affatto modesto) che ho ritrovato sfogliando il manuale di Guido Conti. Le regole sono sempre una semplificazione, e di fatto le opere- soprattutto le grandi opere- rappresentano una felice eccezione rispetto al mucchio di convenzioni da cui dovrebbero provenire (e in parte persino provengono).
 
 
© RIPRODUZIONE RISERVATA