Da Connelly a King, l'arte di Hopper diventa letteratura

Da Connelly a King, l'arte di Hopper diventa letteratura
di Renato Minore
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Domenica 28 Maggio 2017, 12:44 - Ultimo aggiornamento: 29 Maggio, 22:48
La coppia in salotto, lui chino sul giornale, lei dall’altra parte della piccola stanza sfiora con il dito i tasti del pianoforte. Una scena di calma borghese, ma è proprio così? Lui è concentrato sul foglio, lei fa passare il tempo forse in attesa che il marito finisca di leggere. Entrambi paiono essere in un altrove che “Room in New York” di Edward Hopper non può svelare, ma può solo cercare di indovinare, far intuire. Il nostro sguardo non si fissa né su una figura né sull’altra,  passa nello spazio tra loro dritto fino alla porta, che resta chiusa per entrambi.  Stephen King ha intuito che cosa c’è se provi a screpolare la grana dell’immagine, ha rivelato che cosa nasconda la porta chiusa. Sa mostrare quale orrore possa sprigionarsi dalle vicende di una coppia (la coppia del quadro, separata da una noia invincibile) che, dopo dieci anni di tentativi, non riesce a mettere al mondo un figlio. E si rassegna a trasformare la cameretta del bambino mai nato in uno spazio inquietante, con un armadio che nel quadro non si vede.  

Il racconto di King “La Sala della musica” è uno dei tredici, di “Ombre” (Einaudi), l’antologia di brevi storie – noir ma non solo- ispirate ai dipinti di Edward Hopper.  Un omaggio per nulla convenzionale che esce in occasione dell’anniversario, cinquant’anni dalla scomparsa del pittore che è una fonte d’ispirazione costante per non pochi registi, fotografi e scrittori.  In campo, oltre a King, una squadra di eccellenze narrative da Michael Connelly a Jeffery Deaver a Joe R.Lansdale a Joyce C.Oates, tutti alle prese con le figure enigmatiche e le silenziose scene metropolitane come strappate dall’immaginario collettivo del Paese e fatte rifluire in uno spazio virtuale in cui predominano l’influsso e la soprabbondanza del sentimento.

“In America e nel mondo intero Hopper è senza dubbio un artista molto amato”, scrive Lawrence Block, il curatore dell’antologia, “ma ho scoperto che ad apprezzarlo in particolar modo sono gli scrittori, e chi in generale subisce il fascino di una bella storia. E non perché le sue ne raccontino necessariamente una”. I quadri di Hopper non raccontano storie perché il pittore non è né un narratore né un illustratore, semmai inseguono le storie “racchiuse al loro interno in attesa di essere raccontate”. La loro forza espressiva è nel senso di possibilità, ambiguità, essenziale inconoscibilità che riescono a trasmettere. In altre parole l’invito a costruire una narrazione da ogni quadro fa anche parte dell’esperienza di guardare Hopper. I suoi quadri sono brevi attimi di descrizioni che suggeriscono il tono di ciò che li seguirà mentre portano in primo piano il tono di ciò che li ha preceduti, come ha scritto Mark Strand.

Si tratta solo di aguzzare lo sguardo per poter meglio rappresentare “un istante con un passato e un futuro che lo spettatore è chiamato a rintracciare”.   Come capita a Nicholas Christopher che,  per l’omaggio di “Ombre” sceglie  la pittura enigmatica di Hopper aperta sull'oceano in  “Poeple in the Sun”  la interpreta quasi alla lettera tessendo l’immagine del dipinto nella storia che va costruendo.  Il risultato è un racconto denso e sfuggente  con una sfumatura di realismo magico . Alle prese con “Eleven A.M”, la sua tela preferita, Joyce C. Oates trasforma l’istante in cui la donna nuda di Hopper, con lo sguardo oltre la finestra, diventa l’attesa con cui l’amante attende l’arrivo dell’uomo sposato. Quasi un noir pieno di suspence, nell’incastrare il rapporto di amore e odio nella figura di un uomo sempre in ritardo, che parla a malapena e pericolosamente si avvicina per colpire “usando il suo volto contorto e brutto, terribile da vedere”. “Soir Bleu” di Robert Olen Butler è un altro pezzo forte di noir della collezione. E’ dedicato all’uomo  celato sotto la maschera  di clown  nel quadro  dallo stesso nome, una delle tante comparse del  mondo di Hopper, abbandonate dai loro copioni che, intrappolate nello spazio della propria attesa, devono farsi compagnia da sé, senza futuro.

 Dal noir alla spy-story di Jeffery Deaver che da “Hotel by a Railroad”  ricava una turbinosa vicenda di spionaggio durante la guerra fredda. Eroi e spie si fronteggiano e si scontrano,  le tormentate figure hopperiane diventano messaggi cifrati con ben altri intenti da quelli artistici. E dalla grande storia nazionale a quella piccola e domestica delle fantasie e nevrosi coniugali viste da Megan Abbott con il molto pulp “Lo spogliarello”, ispirato a” Girlie Show”. Che cosa accade se, ispirato dal racconto di un amico su uno spettacolo di nudo, un marito pretenda dalla moglie di esporre ogni giorno in cucina un’immagine simile a ciò che gli è stato raccontato? Quali meccanismo di novità, complicità e assuefazione si mettono in moto?

Due o tre  racconti di “Ombre” sono più pretestuosi, di maniera, Hopper  è  un “certo signor Hopper” che appare a un certo punto  o l’autore del celebre “Nighthawks”  su cui s’imbatte nelle sue indagini l’altrettanto celebre detective  Bosch di Michael Connelly. Ma l’impressione del lettore dell’antologia di Block si conferma e si rafforza:  l’artista della solitudine e dell’alienazione che “sapeva dipingere il silenzio”,  è anche il più narrativo dei pittori  grazie alla potenza  dei suoi scenari. Che sono quelli più intensi della mitologia statunitense, distributori di benzina, strade, spazi urbani, ferrovie, locali notturni,  presenze spettrali che si aggirano tra luoghi desolati, nascosti dalla banalità del quotidiano, dall’eterna ripetizione di gesti automatici e inautentici .
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