Il consiglio di Daniel Goleman: «State attenti e sarete felici». Esce il nuovo libro "Focus"

Il nuovo libro di Daniel Goleman, "Focus"
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Mercoledì 30 Ottobre 2013, 18:24 - Ultimo aggiornamento: 18:28
Le maestre lo dicono agli allievi nel loro primo giorno di scuola: Se state attenti in classe, non avrete problemi. Daniel Goleman lo dice agli adulti che cercano la chiave del successo: «Fare attenzione rende migliori e più felici» è il sottotitolo del suo libro, “Focus” (Ed. Rizzoli). Americano di 67 anni, ha insegnato psicologia all’Università di Harvard ed è collaboratore scientifico del “New York Times”. Il suo primo libro, L’Intelligenza Emotiva, ha venduto milioni di copie nel mondo.



Professor Goleman, con Focus lei vuole dimostrare che la capacità di concentrarsi sta alla base della riuscita nel lavoro, nei rapporti umani e sociali, più in generale nella vita.

«È così. Il funzionamento dell’attenzione è assimilabile a quello di un muscolo. Se lo usiamo poco si infiacchisce, se lo usiamo bene acquista vigore. In questo modo impariamo a rimanere concentrati sui problemi da affrontare, sulle cose che ci accadono intorno, sulle persone con cui interloquiamo».



Può fare un esempio di qualcuno che ottiene risultati ottimali grazie alla concentrazione?

«Gli atleti ad alto livello, pensi a quelli che arrivano a disputare le Olimpiadi. Se non riuscissero a farsi assorbire mentalmente dall’esercizio in cui sono impegnati non otterrebbero risultati, indipendentemente dalla loro forza, dalla loro abilità, dalle loro doti fisiche. E questo vale per qualsiasi altra attività umana».



Lei sostiene anche che sia un passaggio obbligato per raggiungere il benessere psichico, se non addirittura la felicità.

«La felicità non si raggiunge automaticamente acquisendo la capacità di essere attenti, però è uno strumento che aiuta a raggiungere il benessere. E allo stesso modo, senza questa facoltà diventa assai improbabile essere felici. Il saper mantenere l’attenzione aiuta non solo a individuare con maggiore efficacia la soluzione dei problemi, ma anche a migliorare la qualità dei rapporti con gli altri, accresce l’empatia, ci rende capaci di saper apprezzare meglio le bellezze».



E gli strumenti tecnologici che quotidianamente accompagnano la nostra vita (smartphone, l’iPad, i notebook) contribuiscono invece a indebolire il nostro muscolo dell’attenzione?

«Non sono gli strumenti tecnologici in sé ad essere nemici della capacità di focalizzare le cose, ma la quantità di informazione che diventa accessibile grazie ad essi. Questi strumenti sono così ben organizzati da sedurre la nostra attenzione, e ciò rischia in qualche modo di impoverire la nostra vita. Non so se accade anche in Italia, ma spesso negli Stati Uniti si vedono nei ristoranti coppie che anziché parlare fra loro compulsano lo smartphone».



Nel suo studio lei individua una zona ben precisa del cervello in cui avvengono i processi neurologici che facilitano l’attenzione.

«Certo, ed è una zona del cervello che l’uomo moderno, sempre più sottoposto al rischio di farsi distrarre dalle cose che richiederebbero la sua concentrazione, ha sviluppato e deve in qualche modo tenere in allenamento. In epoche passate era una parte del nostro sistema cognitivo ed emozionale che non aveva l’importanza che ha oggi».



Esiste un solo tipo di attenzione?

«No, ce ne sono diverse. Tre forse sono le principali: la capacità di focalizzazione che è quella che consente a uno studente di rimanere attento e di sviluppare le doti di apprendimento; la consapevolezza sensoriale, ovvero quello stato in cui riusciamo ad essere molto vigili dal punto di vista dei sensi; e la predisposizione a consentire alla mente di vagare. In particolare, quest’ultima facoltà favorisce la creatività, come hanno dimostrato molti scienziati e molti matematici».



Come si impara a tenere allenato il muscolo dell’attenzione?

«Nel libro parlo diffusamente di queste pratiche. C’è una scuola a New York dove i bambini di sette anni vengono quotidianamente invitati a fare degli esercizi mentali specifici per mantenere l’attenzione, ed è stato dimostrato che questo migliora il loro rendimento. Anche la capacità di sapersi concentrare, per esempio, sul proprio respiro escludendo progressivamente tutto il resto è una buona pratica di allenamento. Sono importanti quegli esercizi, anche piccoli, che aiutano a tener desta la nostra attenzione su quel che stiamo facendo».



Questo significa, per esempio, che se si deve visitare una città sconosciuta è meglio chiedere informazioni o consultare una mappa che non affidarsi a un navigatore satellitare?

«Io non sono contrario alla tecnologia, specie se ci facilita le cose come nel caso di un Gps. Dico però che bisogna fare attenzione a che la tecnologia non ci porti altrove rispetto alla necessità che noi abbiamo di focalizzare il problema o la situazione o la persona con cui in quel momento, qui e ora, abbiamo a che fare».
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