"Cervelli sconnessi", l'era digitale secondo lo scrittore Giuliano Santoro

"Cervelli sconnessi", l'era digitale secondo lo scrittore Giuliano Santoro
di Carmine Castoro
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Domenica 13 Luglio 2014, 04:59 - Ultimo aggiornamento: 11 Agosto, 19:21
La virtualizzazione il rischio della sparizione della realt, della sua fantasmizzazione. Va vista più che altro come una linea di galleggiamento fra la vita reale – con i suoi affanni, bisogni, desideri, forme di aggregazione, sviluppi comunitari e istituzionali – e una sorta di assoluto della libertà, di incessante opera di sganciamento e allacciamento di legami fra individui e situazioni, che Pierre Levy in un famoso studio dal titolo proprio “Il virtuale” (Raffaello Cortina) ha esemplificato come una sorta di possibilità raddoppiata che noi abbiamo a disposizione, e che svela dell’attualità la sua radice problematica e nodale.









Il virtuale, in pratica, che noi associamo nella vulgata a Internet, new media, social network, ricerche su Google e simili, è come se oscillasse da un lato, in maniera ascensionale, verso un arricchimento della nostra soggettività, delle nostre chance di ri-creare il mondo e i rapporti politici e affettivi che investiamo in esso, dall’altro, quasi sotto traccia, verso una sorta di calcificazione del reale stesso, che si astrae, si disperde, si interrompe, si impregna e affonda in un universo parallelo di divertissement elettronici e ubiquitari.



Su questo delicato crinale epistemologico ed etico, in cui –come egli stesso dice – “l’intelligenza collettiva” è spesso bypassata dalla “emozione connettiva”, risultano particolarmente acute e stimolanti le riflessioni di questo “Cervelli sconnessi” del giornalista e ricercatore Giuliano Santoro che sintetizza questa tentacolarità perverso-partecipativa dei sistemi digitali con l’etichetta di “net-liberismo”. Intendendo con questa targa ideologica la grande trasformazione della Rete all’interno di un sistema socio-economico che avrebbe grazie ad essa incrudelito le sue leggi del profitto, del monopolio, del lavoro schiavistico o sottopagato, dei modelli di addomesticamento delle masse.



Dice Santoro: “Il livello dell’informazione media è sceso, trionfano narrazioni povere e rassicuranti, si cerca lo scandalo a buon mercato invece del ragionamento. E’ peggiorata, e di molto, anche la qualità della discussione politica. Molti degli strumenti partecipativi che ci parevano rivoluzionari sono serviti a rafforzare relazioni di potere invece che ad allentarle”. Certo, non si può dare di tutto questo la colpa al capitale smaterializzato e alle possibilità di simultaneità e di condivisione che il web ormai offre da anni, ma l’utilizzo prevalentemente ludico-gossiparo-distrattivo di un certo linguaggio legato al virtuale non fa che approfondire la barbarie mentale e l’analfabetismo di ritorno, e rendere più caotica e oppressiva quella cortina invisibile di controllo e tele-sorveglianza che ci ha trasformati in cittadini-consumatori da invogliare e spolpare nelle maglie di un mercato sempre più smart.



“La stragrande maggioranza di persone utilizza la Rete per scambiarsi immagini e non testi. Sono le immagini che ci consentono di sospendere la capacità critica e di abboccare a campagne virali, memi e stimoli emotivi che poco hanno a che vedere con l’intelletto e molto con la sfera irrazionale o con la tentazione di assecondare tendenze in atto nel flusso animato dalla nostra cerchia di amici virtuali”.



Prendendo le mosse dalla situazione italiana, cioè dal Paese in cui l’accesso di massa a Internet ha segnato l’ennesimo peggioramento del dibattito pubblico, questo testo ricostruisce la storia della Rete, segnata fin dall’inizio dalla paradossale e inconsapevole collaborazione tra le controculture statunitensi e i laboratori del comparto militare-industriale. Per finire ad una raffinata e accorta opera di demistificazione di alcuni dei miti apparentemente incontrovertibili della Rete: Facebook con la sua capacità infinita di plasmare identità e vincoli, il citizen journalism, ovvero il giornalismo dal basso sganciato dai grandi potentati mediatici che dovrebbe brillare di autonomia e verità, e la grande Terra Promessa della libertà di dire la propria senza mediazioni, spesso non immune da corbellerie, scelleratezze infondate e complottismi altamente suggestionanti.



Molto bella la parte finale del testo in cui, prendendo spunto dalla rivolta spagnola degli “indignados” e dai sistemi multipli e interfacciati usati dai ribelli della piazza di Madrid, si propone il modello di una “tecnopolitica”, che possa unire piazza virtuale e polis greca, multimedialità ed effervescenza sociale, schermi e strada, in un’unica mappa sinaptica che “aumenta” l’evento e non la realtà, moltiplicandone le forze e gli echi, per poter davvero offrire racconti alternativi della vita e, come uno “sciame”, contendere il potere di incidere sulle cose e sui cuori ai network delle notizie commercializzate.



Giuliano Santoro è giornalista e scrittore. Esperto di politica e società, nel 2012 ha pubblicato per Rubbettino il saggio “Su due piedi, camminando per un mese attraverso la Calabria”. E nelle ultime settimane, sempre per Castelvecchi “Un Grillo qualunque”, un’analisi della grande ascesa del Movimento 5 Stelle.



Giuliano Santoro “Cervelli sconnessi” (Castelvecchi, pagg. 141, euro 16,50)