Elena Ferrante: «La saga di Lila è finita, ma vado avanti»

Elena Ferrante: «La saga di Lila è finita, ma vado avanti»
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Venerdì 19 Gennaio 2018, 10:01 - Ultimo aggiornamento: 25 Gennaio, 08:47
PARIGI Nella lunga intervista al Nouvel Observateur Elena Ferrante la definisce «la posizione d’assenza»: è la sua decisione, ormai nota a tutti, di non esserci. Eppure la scrittrice c’è, presentissima, attenta, lucida: il femminismo, l’affare Weinstein, gli hashtag di denuncia, le attrici di Hollywood che non sono poi così tanto diverse dalle «donne del quartiere napoletano di cui ho parlato io», e la scrittura: «Se non siamo attraversati dalla vita, su cosa scriviamo?». Ferrante non nasconde niente tranne la faccia. L’intervista rilasciata al settimanale francese – sempre via mail - coincide con l’uscita in Francia del quarto e ultimo volume de L’amica geniale, Storia della bambina perduta che diventa “L’enfant perdue”.

THE END Sarà proprio ultimo, sia detto per inciso ma anche con chiarezza: «La storia di Lila e Lenù è finita» dice Ferrante al NouvelObs. E apre nuovi spiragli. Non parla della serie Tv a venire (diretta da Saverio Costanzo, quattro serie da 8 episodi ciascuna, in Francia diritti già acquistati da Canal +) ma annuncia che ha già altre storie “in testa”: «Spero di riuscire a scriverle, dice, quanto a pubblicarle, non lo so».

La Francia non ha fatto eccezione all’accoglienza planetaria: due milioni di copie già vendute per i primi tre libri delle vite di Lina e Elena, il quarto che beneficia di un’eccezionale tiratura iniziale di 150mila copie. Da Gallimard possono vantarsi di non aver aspettato che diventasse best seller, il caso letterario italiano d’inizio millennio, per scoprire Elena Ferrante. Furono già loro a pubblicare L’amore molesto (L’amour harcelant), quando di lei non c’era nemmeno bisogno di sapere che era uno pseudonimo. E la Francia è nel cuore di Ferrante. Se a Didier Jacob (autore della lunga intervista sul Nouvel Obs) conferma la folgorazione per Flaubert e Madame Bovary («non so perché Emma mi sembrava vicina a molte donne della mia famiglia»), se spiega che «all’origine del mio amore per la scrittura» c’è Piccole Donne, rivela di avere letto quasi tutta Marguerite Duras: «Il libro sul quale ho lavorato più a lungo è Il rapimento di Lol V. Stein: la sua opera più complessa, ma sulla quale si impara di più».
E poi racconta come lavora, come scrive. Nella solitudine? Lontano dal mondo? Le chiede l’intervistatore, perché alla fine siamo tutti un po’, molto curiosi.

LA SCRITTURA Bellissima risposta: «Quando si è innamorati, si scrive benissimo!... Passare il proprio tempo unicamente concentrati sulla scrittura è un’aspirazione da adolescente, da adolescente triste... in base alla mia esperienza la maternità ha certamente la capacità di annientare il bisogno di scrivere... Ma poi, se il nostro bisogno è abbastanza forte, si trova prima o poi un’organizzazione che gli lascia spazio».

Nessuna reticenza nemmeno sull’affare Weinstein, che «ha messo in luce quello che le donne hanno sempre saputo e più o meno taciuto»: «A dispetto delle apparenze, anche in Occidente la dominazione patriarcale è ancora fortemente radicata: lo sperimentiamo tutte, nei luoghi e le forme più diverse, subendo ogni giorno l’umiliazione di esserne vittima muta, complice impaurita o silenziosa ribelle, quando non arriviamo a prendercela con le vittime, invece di accusare i violentatori». Lina, Lena, Ferrante, Asia Argento: «paradossalmente – dice la scrittrice – non vedo grande differenza tra le donne del quartiere di Napoli di cui ho parlato io e le attrici di Hollywood o le donne colte e raffinate che lavorano ai livelli più alti del nostro sistema socio-economico.

Alzare la voce, dire “me too”, mi sembra una buona cosa, ma soltanto se conserviamo il senso della misura: gli eccessi non servono alle cause giuste». E anche sul femminismo, lei, diventata simbolo – molto suo malgrado, probabilmente – di una scrittura “femminile” non meglio identificata – ha alcune cose da dire: «In questi ultimi anni si è diffuso un certo disprezzo fra le nuove generazioni di donne nei confronti del femminismo delle loro madri e nonne... Spero che le cose cambieranno, che capiranno che viviamo in una posizione d’inferiorità da millenni e che si deve continuare la battaglia. Se abbassiamo la guardia, un niente potrebbe cancellare quello che quattro generazioni hanno conquistato, almeno in teoria, al prezzo di sforzi immensi».

Per finire una notazione, personale forse, ma soprattutto un cenno importante per i lettori e lettrici della quadrilogia: qualche parola sulle superficialità e su Nino, il ragazzo che amano Lina e Elena, il ragazzo da amare, l’uomo bello, intelligente, affascinante: «Volevo raccontare gli effetti della superficialità quando si associa a una solida cultura e a una vera intelligenza. Nino è un uomo superficiale di qualità: un genere che conosco bene».
 
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