«Elena Ferrante è la storica Marcella Marmo». Ma lei nega: «Chiamatemi solo prof»

«Elena Ferrante è la storica Marcella Marmo». Ma lei nega: «Chiamatemi solo prof»
di Francesco Durante
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Domenica 13 Marzo 2016, 14:17 - Ultimo aggiornamento: 15 Marzo, 13:31
Quando a Marcella Marmo chiedo se debbo chiamarla Lenù, lei mi risponde: «Mi chiami solo: la Prof. Altrimenti sarò travolta dall'amore di voi giornalisti per il paradigma indiziario. Se però tiene così tanto alla mia possibile identificazione con Elena Ferrante, posso concederle di chiamarmi Mrs Hyde, ovvero la Prof».

Aggiunge che da ieri mattina casa sua è bombardata di telefonate, per ora solo dall'Italia, ma in futuro, prevedibilmente, anche dal mondo, visto che Elena Ferrante è candidata al Man Booker International Prize coi due Nobel Kenzaburo Oe e Orhan Pamuk. Già adesso sua figlia Arianna Sacerdoti è allarmata perché su Facebook impazzano i post degli ex allievi della madre, e insomma, per dirla con le sue parole, «uno più dice no, più tutti gli altri dicono sì».

INSEGNAMENTO
Marcella Marmo, vedova di Guido Sacerdoti, è un'apprezzata storica. Alla Federico II, da cui andrà in congedo quest'autunno, insegna Storia dell'Italia contemporanea. Tra i suoi libri c'è il più recente Il coltello e il mercato: la camorra prima e dopo l'unità d'Italia (l'ancora del mediterraneo), accanto a un fitto elenco di pubblicazioni in volumi collettanei o in riviste (da «Meridiana» a «Rivista storica italiana», da «Quaderni storici» a «Contemporanea»).

Di letteratura afferma di non essere particolarmente esperta («ora che avrò più tempo ne approfitterò per diventare una persona colta»); quanto alla Ferrante, dice di aver letto soltanto il primo volume della quadrilogia dell'Amica geniale. È tuttavia un fatto, le facciamo notare, che, come ha scritto ieri su «La Lettura» del Corriere della Sera il filologo Marco Santagata, finalista allo Strega la scorsa estate proprio nella cinquina di cui faceva parte anche Elena Ferrante, lei è napoletana e ha studiato alla Normale di Pisa in anni compatibili con quelli del racconto di Lenù nel secondo volume (Storia del nuovo cognome) della quadrilogia. «Sì», risponde. «Ma Elena Greco, il personaggio della Ferrante, si laurea a Pisa, mentre io, che pure ero entrata alla Scuola Normale, per concorso, nell'anno accademico 1964-65, a fine ottobre del 1966 me ne tornai a Napoli.
 
C'erano stati problemi tra me e il professore di storia moderna, Armando Saitta, che non amava i meridionali e detestava i meridionalisti. Così me la filai e mi laureai con Giuseppe Galasso». Questo spiegherebbe la ragione, notata da Santagata, per la quale nel romanzo non c'è alcun accenno all'alluvione del '66, e al fatto che la piena dell'Arno aveva prima fatto chiudere per precauzione, e poi addirittura crollare il ponte Solferino, dal quale, però, Lenù nel romanzo butta la scatola contenente otto quaderni della sua amica Lila.

LAPSUS
Un «lapsus» rivelatorio, secondo Santagata. Che in qualche modo coglie nel segno. Perché, come dice Marmo, «io a novembre non ero più a Pisa. Pensi che, tornata a Napoli, i miei amici organizzarono in mio onore una festa intitolata “Après moi le deluge”».

Santagata nota ancora che nel libro non c'è alcun cenno agli eventi che, già nel febbraio del '67, aprirono a Pisa con un certo clamore la stagione sessantottina. Per il filologo, questa dimenticanza, sommata all'altra di cui s'è appena detto, mostra come la sedicente Elena Ferrante abbia lavorato servendosi soltanto della propria memoria senza preoccuparsi troppo di altra documentazione. Un comportamento da narratrice pura.
«Sarà anche così. Sta di fatto, però, che io nel febbraio '67 ero a Napoli. A Pisa avevo conosciuto Adriano Sofri, Franco Piperno, Carla Melazzini poi diventata moglie di Cesare Moreno e tanti altri che si muovevano nell'orbita dei movimenti di quegli anni. Poi, però, me ne sono andata, e questo è quanto. Ripeto: non sono una letterata, non ho ancora letto Joyce e della Ferrante conosco un solo libro. Capisco che i giornalisti facciano il loro mestiere.

Ma io, che ho studiato il processo Cuocolo, so che questo di Santagata è un procedimento indiziario, e non va bene. Sei tu che devi dimostrare che io sono Elena Ferrante, non io che devo dimostrare di non esserlo».

GIOCARE
Le faccio notare che, se dice così, mi autorizza a giocare ancora. E allora butta là altre due cose. Primo: «La mia storia personale nella città non si trova con quella di Lenù. Io sono nata in via Foria, e ho fatto la prima e la seconda elementare alla Sanità. Ma poi mi sono trasferita al Vomero, e lì sono rimasta, in un mondo assai distante, in tutti i sensi, da quello narrato dalla Ferrante».

E siccome l'argomento non pare decisivo, eccone in arrivo un altro. «Dopo di me c'è stata un'altra napoletana alla Normale di Pisa». «Come si chiamava?» «Non ricordo. So che non ci prendevamo molto».

RAGAZZA
Sarà. Forse, però, con questa seconda ragazza (sembra accertato che Marcella Marmo sia stata la prima normalista napoletana in assoluto) ci spingiamo un po' troppo avanti nel tempo. Non resta che prendere atto della tesi di Santagata – scrittore e studioso autorevole, nonché docente proprio a Pisa, dunque conoscitore della topografia, della storia e delle atmosfere di una città che nel secondo volume della quadrilogia della Ferrante viene più volte alla ribalta – e aggiungere quello della Marmo alla lista dei nomi già fatti in passato, subito dopo quello che forse anche adesso resta il più fortemente indiziato: Anita Raja, traduttrice, moglie (napoletana) dello scrittore (napoletano) Domenico Starnone.

A proposito di lei, lo scorso novembre un altro scrittore, Giuseppe Scaraffia, intervistato da Radio2, disse che «c'è una scrittrice che di recente ha rischiato di vincere lo Strega ed è moglie di uno scrittore».

Non volle far nomi, ma ammise che «il marito era talmente esasperato che ha messo i nomi dei personaggi di successo dei libri della moglie nei suoi romanzi».
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