"C'era una volta Roma", i luoghi spariti della Città Eterna nel libro di Santonastaso e Spinelli

"C'era una volta Roma", i luoghi spariti della Città Eterna nel libro di Santonastaso e Spinelli
di Piero Santonastaso e Alessandra Spinelli
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Lunedì 13 Novembre 2017, 16:49 - Ultimo aggiornamento: 2 Dicembre, 11:38
«Santità, abbiamo una visita in cielo». Pio X rimase interdetto all'annuncio del monsignore che aveva fatto irruzione nella biblioteca di Leone XIII, dove era in compagnia del cardinale Merry Del Val. «Un aeroplano, Santità», si affrettò ad aggiungere il poveretto, indicando un biplano che volteggiava su piazza San Pietro. Pio X si precipitò alla finestra e rimase a guardare sorridendo. «La xe una gran meravegia», disse infine il Papa, che era veneto, «Benedetto. Che el Signor lo protega».

Fu certamente la prima benedizione impartita a un aereo. Per la cronaca era il 27 febbraio 1911, si celebrava con una gara d'aviazione il cinquantenario dell'Unità d'Italia, l'aereo era un Farman III che raggiungeva la fantastica velocità di 60 km/h, il pilota il belga Jules Fischer, decollato dall'ippodromo delle Capannelle davanti a tribune gremite da bel mondo e popolino.

ROLAND GARROS
Ci si arrangiava alla meno peggio in quella fase eroica dell'aviazione, allestendo i campi di volo dove possibile. Nello stesso anno i temerari del raid Parigi-Roma, anche quello organizzato per il Cinquantenario, atterrarono invece all'ippodromo dei Parioli, il 9 giugno, dopo aver fatto scalo nell'ippodromo di Pisa. Impiegarono appena 13 giorni e vinse su Bleriot il francese Jean Louis Conneau, sotto lo pseudonimo di André Beaumont. Secondo fu un certo Roland Garros. Il terzo, André Frey, sarebbe stato primo se non si fosse dovuto fermare a Maccarese per problemi al motore. Il farmacista locale si rifiutò di dargli senza prescrizione medica i venti litri di olio di ricino che servivano come lubrificante. A Frey non restò che attendere i meccanici partiti da Roma, perdendo così mezza giornata e la vittoria. Di dodici partiti da Parigi arrivarono soltanto in quattro. Veramente tempi eroici. D'altronde il battesimo dell'aria di Wilbur e Orville Wright risaliva appena al 1903. Ed è stato Wilbur Wright in persona a effettuare il primo vero volo a motore a Roma nel 1909 ()

IL PRIMO ITALIANO
Nel 1909 Wright fu raggiunto a Pau, in Francia, da una delegazione del Club Aviatori di Roma capeggiata dal maggiore Maurizio Moris, comandante della sezione Aeronautica della brigata Specialisti del Genio. Chiedevano che raggiungesse Roma con il suo Flyer IV per istruire il sottotenente di vascello Mario Calderara, che sarebbe divenuto così il primo italiano a possedere un brevetto di volo.

Wilbur Wright non era un benefattore: nel 1905 aveva proposto al Regio Esercito l'acquisto di 50 aerei per 12,5 milioni di lire, equivalenti a una cinquantina di milioni di euro, ricevendo un secco rifiuto. La delegazione italiana non era però andata a Pau a mani vuote: l'accordo fu raggiunto sulla base di 25 mila lire a Wright e 25 mila per l'acquisto del Flyer. Totale 50 mila lire, al cambio d'oggi 200 mila euro, se non fosse che allora un operaio guadagnava 50-60 lire al mese e un chilo di pane costava 30 centesimi.

Wilbur giunse a Roma il primo aprile e il giorno stesso fece provare a Calderara l'ebbrezza del volo. Come base era stata scelta una vasta area presa in affitto a Centocelle. L'aerodromo, cioè un grande prato con un capannone tirato su alla meno peggio, fu inaugurato il 15 aprile da Wright in persona, che in totale fece a Roma 67 voli. Lì sarebbe sorto più tardi, senza troppi riguardi per le tante rovine attribuite alla residenza imperiale di Elena, madre di Costantino, l'aeroporto militare. Fu intitolato a Francesco Baracca ed è rimasto operativo fino al 1959.

L'INCIDENTE
Proprio Roma fu all'origine della nascita del mito di Baracca. L'8 giugno 1911 l'allora sottotenente della Cavalleria era impegnato in esercitazioni a Tor di Quinto quando si trovò ad assistere all'incidente in cui morì un altro pioniere dell'aviazione romana, il ventottenne Raimondo Marra, un pilota autodidatta che gli aerei se li costruiva da sé. Quel giorno Marra stava effettuando il circuito del Tevere, 300 chilometri percorrendo sei volte la rotta Centocelle-Monterotondo. Nei pressi di Tor di Quinto il suo Farman andò in stallo e precipitò, incendiandosi. Baracca fu tra i primi soccorritori ma per Marra non ci fu nulla da fare. La vicenda finì su una copertina della Domenica del Corriere disegnata da Achille Beltrame, e toccò profondamente il futuro asso del cavallino rampante. Fu lì, su un prato di Tor di Quinto, che decise di dedicarsi all'aviazione. ()

Voli militari per la verità erano in uso ben prima dei fratelli Wright, solo che a effettuarli erano stuoli di piccioni assoldati nelle fila del Genio Colombieri in funzione di portamessaggi, anzi di latori di colombigrammi. Fino al 1901 erano di stanza a Monte Mario, nel Forte Trionfale, poi furono trasferiti nella colombaia militare di Santa Croce in Gerusalemme. L'unica che sopravvisse alla seconda guerra mondiale. L'ultima grande occasione nella quale i piccioni con le stellette diedero bella dimostrazione di sé fu per la cerimonia inaugurale delle Olimpiadi del 1960, quando 1200 colombi sorvolarono compatti lo Stadio Olimpico.

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