Uomini che uccidono le donne, 2: e Marco la portò in cima al mondo

Uomini che uccidono le donne, 2: e Marco la portò in cima al mondo
di Roberto Costantini
6 Minuti di Lettura
Venerdì 19 Agosto 2016, 13:08 - Ultimo aggiornamento: 13:14
IL THRILLER
ANNA BIANCHI
Era l'inizio di Giugno, le giornate si stavano allungando e la temperatura serale consentiva finalmente di indossare le gonne senza calze. Quando Marco Diamanti mi aveva telefonato per dirmi che veniva a Roma per due giorni di lavoro e voleva invitarmi a cena, avevo faticato a frenare l'esultanza. Per l'occasione avevo scelto il mio abito preferito, quello verde, largo sopra e stretto dalla vita in giù, che nascondeva un po' il seno eccessivo, mi rendeva più snella e metteva in risalto i miei occhi. Le scarpe verdi col tacco dodici le avevo tenute in uno zainetto e le avevo indossate poco prima di uscire dal negozio.
Appuntamento? mi aveva chiesto Monica.
Lei era l'altra commessa e in un certo senso il mio capo, perché lavorava alla boutique da prima di me. Io ero lì da un anno ma non la consideravo un'amica, come lei avrebbe voluto. Era un po' troppo impicciona e disinvolta sia nel linguaggio che con i clienti di sesso maschile. Non mi andava di comunicarle il mio entusiasmo per Marco Diamanti.
Niente di importante buttai lì a mezza bocca.
Lei fece quel sorriso tremendo di chi la sa lunga.
Con quei tacchi? Scommetto che sei verde anche sotto
Sentii il sangue salirmi alle guance. Mi ero agghindata fuori, ma non ero il tipo da pensare alla biancheria intima da indossare al primo incontro. E forse neanche al secondo, diciamo dal terzo in poi, quando mi ero sentita sicura che lui facesse sul serio. Era una frase stupida, lo sapevo. E quel metodo non mi aveva salvato da un'infinità di delusioni perché gli uomini, quando pensano che ne valga la pena e con me lo pensano sempre, sanno essere pazienti.
Più li fai aspettare prima e meno dura dopo. Come la mia omonima Anna, l'eroina dei libri di Giulia Testa, che voleva innamorarsi prima di darsi, come me. Ma sbagliamo entrambe. Gli uomini di oggi cercano donne forti, decise, sicure di sé.
Salutai Monica, uscii dal negozio e mi avviai tra i turisti verso piazza di Spagna. Ero contenta del fatto che Marco mi avesse proposto di incontrarci in piazza e non al negozio, non volevo che Monica lo vedesse. Lui era già lì, all'angolo tra la piazza e la via Condotti dove si trova la boutique. Era perfetto, con la sua eleganza non chiassosa nel completo di lino blu con la camicia bianca senza cravatta. Mi sentivo già felice. Lui mi squadrò un po'.
Anna, ma tu vendi vestiti o li compri?
Questo non è della boutique dove lavoro, non basterebbe lo stipendio di un anno.
Beh, il vestito è bellissimo. E poi conta più il contenuto, no?
Era un complimento un po' diretto per dove eravamo nel nostro rapporto. Cioè alla casella uno. Forse li faceva spesso alle ragazze. Quello sarebbe stato un pensiero tipico e distruttivo dell'Anna consueta, quella che ero davvero e che non volevo più essere.
No, questa volta reciterò, sarò come gli uomini ci vogliono. Leggera.
Per cui mi sforzai di fare un sorriso compiaciuto.
Dove mi porti? gli chiesi.
In cima al mondo, all'aperto. La serata è tiepida ma se hai freddo io ho anche un mantello.
Un mantello?
Come i Re. Del resto ti ci porto in carrozza in cima al mondo.
Indicò la carrozza ferma lì accanto, che aveva già prenotato. Le vedevo da sempre le carrozze che giravano tra piazza di Spagna, piazza del Popolo e il Colosseo. Sin da quando ero bambina e papà la Domenica mi portava a Roma dai Castelli dove abitavamo. Ma papà faceva il portiere d'albergo e i soldi a casa non c'erano, tanto meno per girare in carrozzella. Poi papà se l'era portato via il cancro e mamma il dolore e le carrozzelle erano rimaste uno dei tanti sogni.
Quando lui mi prese per mano e mi aiutò a salire mi sentivo già una principessa. Ma non era mica finita lì. Sul sedile della carrozza c'era ripiegato in una busta un bellissimo scialle bianco che costava davvero metà del mio stipendio.
Ecco il mantello per la principessa Anna.
Ma
Mentre ti aspettavo ho pensato che la mia idea di portarti in cima al mondo all'aperto ti avrebbe colto impreparata come abbigliamento. Così mi sono fatto un giro per via Borgognona e ho trovato questo.
Non trovai niente da dire che avesse senso oltre un banalissimo grazie.
Giurai a me stessa che questa volta non sarebbe più accaduto. Avevo imparato la lezione dagli altri rapporti andati a male. Non erano loro ad essere inadeguati, ma il mio spropositato bisogno di sentirmi al sicuro. Quel bisogno era un macigno pesante che avevo legato al collo di ogni uomo che aveva preso un posto nel mio cuore e che alla fine, piuttosto che affogare, aveva preferito spezzarmi il cuore.
La carrozza si avviò lentamente tra la folla e poi prese la via del Corso verso piazza Venezia e proseguì nell'area pedonale dei Fori Imperiali verso il Colosseo. Il vecchio cocchiere, seduto a cassetta, ci dava le spalle mentre il cavallo procedeva tranquillo. Scivolavamo via circondati da millenni di storia, un Re e una Principessa. Marco se ne stava seduto al mio fianco, in un silenzio che non era frutto dell'imbarazzo ma della magia del momento. Sembrava a suo agio e sereno, senza altro pensiero che farmi felice. Mi prese una mano, come se fosse ovvio.
Indicò l'albergo davanti al Colosseo. In cima c'era una terrazza che avevo visto tante volte, doveva avere una vista meravigliosa. Uno dei tanti sogni irrealizzabili.
Ho pensato che ti sarebbe piaciuto un posto così.
E io pensai non solo alla vista della terrazza, ma anche al fatto che sotto il ristorante c'erano le stanze. Ora i miei pensieri venivano dal basso, non dall'alto. E quella frase ebbe l'effetto di un paio di spritz a stomaco vuoto.
MARCO RUBINI
Naturalmente c'era un'alea di rischio a girare con Anna in pieno centro. Non quello di imbattermi in mia moglie Giulia, lei odiava il centro di Roma se non era deserto e ci veniva in bicicletta solo la Domenica all'alba. Ma anche se non avevamo molti amici e non eravamo volti noti, visto che Giulia scriveva sotto pseudonimo, un minimo di rischio di incontrare qualcuno conosciuto c'era. Qualcuno di quei miei amici sfaccendati con cui frequentavo le sale corse. O qualcuno che lavorava in centro. Tipo quell'uomo amico di mia moglie, quel poliziotto a fine carriera che lavorava proprio lì vicino alla Omicidi, come si chiamava, Balestrieri, Balistreri, chi se lo ricordava. Ecco, quel tizio poco socievole era l'ultimo che avrei voluto incontrare.
Avevo scelto la carrozza col guidatore più anziano, di quelli abituati a farsi i fatti propri. E il ristorante in cima all'hotel con vista sul Colosseo lo conoscevo bene: a pranzo potevi incontrare qualche Italiano, ma la sera c'erano solo i clienti dell'hotel e qualche straniero. Nessun nostro conoscente cenava lì. Casa mia era in Prati, tutt'altra parte di Roma.
Hai preso il treno o l'aereo per venire da Milano?
La domanda di Anna non mi colse impreparato. Avevo già deciso per il treno, dove l'identità de viaggiatori è meno accertabile.
In treno. Ormai coi Frecciarossa ci si mettono solo tre ore.
Lei sorrise. Sì, i suoi occhi erano più felici di quel giorno in treno. Stava funzionando tutto bene. Del resto avevo una bella esperienza nel campo. Feci fermare la carrozza davanti alla metro del Colosseo, non volevo che il cocchiere sapesse dove andavamo a cena. Lasciai una mancia media, di quelle che non si ricordano né per la generosità né per la tirchieria.
Scesi per primo, aiutai Anna a scendere tenendola per mano e quando fummo entrambi sul marciapiede continuai a tenerle la mano. Lei non si ribellò, lasciò la sua mano nella mia e ci avviammo verso l'hotel. L'avevo scelta bene, come le precedenti. Giovani donne moderne, nulla a che vedere con l'Anna dei libri di mia moglie che credeva nell'inscindibilità tra sesso e amore. Sì, era tutto come prevedevo. Una cosa facile.

2/continua
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