"Disastro Capitale" di Ajello, una preghiera laica per Roma

"Disastro Capitale" di Ajello, una preghiera laica per Roma
di Virman Cusenza
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Sabato 21 Maggio 2016, 09:27 - Ultimo aggiornamento: 7 Giugno, 15:10


Queste pagine le ho viste crescere giorno dopo giorno. Sono frutto di un dialogo ininterrotto su Roma, nel quale un po' per indignazione, un po' per spirito di denuncia e un po' per gioco abbiamo scelto di raccontare questa città attraverso uno sguardo disincantato che unisse i fatti politici ai cambi di costume. Collocando il tutto in una dimensione storica, che poi è quella che più appassiona l'autore. Abbiamo puntato il dito contro chi ha maltrattato Roma, spingendola in un immeritato degrado, cioè offendendo la sua dignità e sfregiando la sua storia.
Questo racconto del Disastro Capitale ha cercato di svelare talvolta ciò che di marcio si nascondeva, e per certi aspetti si nasconde ancora, sotto la pelle di questa metropoli. Nostro malgrado, abbiamo dovuto ricordare - come da queste pagine emerge in maniera mai retorica - alcuni principi che sembravano ovvii e sacrosanti quali il rispetto del bene pubblico e che invece, come avviene in altre latitudini d'Italia, sono stati calpestati in una fase dall'amministrazione della città.

Spesso ci siano dovuti aggrappare a un passato lontano, per ritrovare valori e certezze che si sono smarrite nella grande deriva non solo materiale ma anche morale di Roma. Messi da parte amarezza e disincanto, adesso la Capitale deve guardare avanti, ben sapendo che purtroppo è palcoscenico di una classe dirigente sfibrata, smarrita e divisa. A che cosa ci si può aggrappare, dopo tutto quello che è accaduto? Certamente non si può confidare nella rivoluzione di qualche Masaniello di turno, al maschile o al femminile. Né ci si può affidare alle rendite di posizione e alle ormai sgretolate certezze dello status di Città-mondo e di Capitale nazionale che Roma ha da sempre, in quanto sede del Vaticano, del governo e di uno dei più straordinari patrimoni culturali dell'universo.
Non è tempo di miracoli. È il tempo di fare gli straordinari, di dedicare un surplus d'impegno a una metropoli che ne ha urgente necessità. Il marcio della politica, che in buona parte è stato smantellato dalle inchieste giudiziarie e soprattutto dal malcontento e dalla rabbia popolare, cerca di resistere nel sottobosco della politica politicante e delle clientele. Serve una mutazione genetica dei partiti, che a Roma hanno toccato il fondo, anche a causa dell'inadeguatezza e dell'affarismo dei loro ceti dirigenti. Il cui declino ha creato un contrasto stridente, che desta stupore e indignazione anche fuori dai confini nazionali, tra la brutta politica e il palcoscenico unico e grandioso della bellezza di Roma a cui il marcio ha cercato di rubare la scena.
Un dato personale può illuminare sulla eccezionalità del momento. A pochissimi miei predecessori alla direzione del Messaggero, è capitato di dover gestire in un lasso di tempo così breve ben due caotiche e tormentate campagne elettorali. Con la consapevolezza, alla vigilia, che soltanto per effetto di un colpo di fortuna o di una insperata alchimia Roma potrà trovare la formula, e gli interpreti, che la possano rimettere in piedi.
Le condizioni di partenza per il futuro sono quelle - difficilissime - evidenti a tutti. Queste pagine di Mario Ajello, dunque, solo questo vogliono essere: una preghiera laica per la Capitale.