Dente, cantante e scrittore: «Vi racconto le mie favole per bambini stanchi»

Dente, cantante e scrittore: «Vi racconto le mie favole per bambini stanchi»
di Giorgio Biferali
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Sabato 5 Settembre 2015, 20:55 - Ultimo aggiornamento: 9 Settembre, 21:13
Quand’è che ha pensato di scrivere questo libro? ("Favole per bambini molto stanchi, pp. 251, 13 euro, Bompiani 2015). In quale momento ha deciso di fermarsi alla parola scritta e di non cantarla? «C’è stato un momento in cui ho pensato che queste cose che stavo scrivendo potessero diventare un libro. Questo libro è nato giocando. Tempo fa, mi venivano raccontate delle storie da un’amica e io cercavo di sintetizzarle il più possibile, di farle diventare di una riga, e subito è nata l’idea di farlo sotto forma di favola. Mi sono piaciute le cose che stavo scrivendo e ho cominciato a scriverne tantissime, ho passato una notte intera a scrivere tantissime favole. Poi ho continuato a scrivere anche nei giorni successivi e c’è stato un momento in cui ho pensato che queste favole, che sono già tante, se le metto giù bene, potrebbero anche diventare un libro. Che poi è la stessa cosa che ho pensato quando ho scritto le mie prime canzoni».



E com’è stato vestire i panni dell’autore e non del cantautore?

«È una cosa completamente diversa. Le canzoni inizio a cantarle con la chitarra in braccio e poi viene tutto insieme. Qui invece scrivevo e basta, sul foglio, senza il pensiero di dover dare una melodia e una forma canzone alle parole. Anche qui, comunque, ho cercato di far suonare le parole, di conservare una musicalità che potesse venir fuori dalla lettura di queste favole».



Uno scrittore, tempo fa, diceva di invidiare profondamente i musicisti perché loro non sentivano mai il peso del significato. Lei, adesso, ha conosciuto entrambi i ruoli…

«Sì, e non mi invidio».



Perché favole e non fiabe? C’è un motivo particolare?

«Perché la fiaba, solitamente, è più fantastica. Le favole, invece, sono più attinenti alla realtà».



Quando ha scritto queste favole, ha pensato un po’ a Rodari oppure no?

«Ci penso spesso a Rodari, e mi piacerebbe che la gente pensasse a Rodari più spesso. È quello che ha usato meglio questa forma, che ha usato meglio la fantasia, come scrittore per bambini e non solo. Ho regalato dei libri di Rodari a mia madre e le sono piaciuti molto. E confesso che io, da bambino, non ho mai letto Rodari, l’ho letto da adulto. Lui ha quella cosa meravigliosa che hanno in pochi, ossia i vari livelli di lettura. Pensi che lui aveva lavorato anche con la musica, scrivendo i testi di quel bellissimo disco di Sergio Endrigo (Ci vuole un fiore, 1974, ndr)».



A chi è rivolto questo libro? Chi sono i “bambini molto stanchi”?

«Il titolo, in realtà, è un gioco. Queste favole sono talmente corte che immaginando di leggerle a un bambino che si deve addormentare, questo bambino dev’essere già stanco di suo».



Quindi un bambino che si è già portato avanti con il lavoro del sonno…

«Esattamente!».



Potrebbero essere anche rivolte ai bambini molto pigri, no?

«Sì, pensi che ero indeciso tra “genitori pigri” e “bambini molto stanchi”…».



Alcune favole sembrano anche un po’ delle freddure, come le note "Tragedie in due battute" di Campanile…

«Ho letto quel libro, ma dopo aver scritto queste favole. Diciamo che ho cercato di tenermi lontano dalla barzelletta, però sì, alcune di queste favole possono essere considerate delle freddure. Rileggendolo, mi sono accorto che ci sono tante cose diverse in questo libro. Ci sono delle freddure fini a se stesse, ci sono delle favole anche profonde nonostante la forma molto leggera, e ci sono anche delle favole che molti non capiranno».



Nel suo libro c’è una parte dedicata alle “favole d’amore”. Quelle favole, secondo lei, sono quelle che si avvicinano di più alle sue canzoni?

«Direi di sì, un po’ perché l’argomento è quello lì, visto che nelle canzoni scrivo quasi sempre d’amore. E penso anche che le “favole d’amore” siano le più belle del libro, o almeno quelle che a me piacciono di più, e le ho scritte un po’ come scrivo le canzoni».



C’è quella frase dell’autore de "Il piccolo principe" che dice che “tutti i grandi sono stati bambini almeno una volta, ma pochi di essi se ne ricordano”. Nelle sue favole i bambini amano tutte le stagioni, tranne l’autunno. Lei, classe ’76, è ancora giovane ma ha già molta esperienza della vita in generale. E quindi vorrei farle una domanda classica e forse un po’ banale: cos’è cambiato veramente per lei nel passaggio dall’infanzia all’età adulta?

«Mi è capitato di parlarne spesso negli ultimi tempi, del passaggio dall’essere bambino all’essere adulto, senza passare dal giovane. E dicevo che a me piacciono molto quelle persone che riescono a mantenere un lato da bambino anche quando diventano adulte, e mi domandavo perché si perde la fantasia che hanno i bambini, che ne hanno tantissima, perché si perde lo stupore? Forse perché c’è tanta esperienza e niente più ti stupisce, forse perché quando si diventa adulti si hanno dei pensieri grossi da affrontare, e quindi non si ha più voglia né tempo di sognare. Riuscire a mantenere alcune cose che i bambini hanno, riuscire a mantenerle per tutta la vita, secondo me è una cosa molto importante, aiuta a vivere meglio».
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