Comincia così, con l’annuncio spettrale di un serial-killer a spasso per le vie insonni di Roma, questo “Cruel” di Salvo Sottile, sorta di auto-terapia letteraria, di “spillo” come lo stesso popolare conduttore televisivo lo definisce, usato per bucare tutto il male accumulato in tanti anni di trasmissioni che hanno avuto come oggetto i misteri più insondabili della cronaca nera nazionale, e invertire così la rotta di esperienze, drammi, ricordi, avventure professionali che si erano come polarizzati dentro di lui. In fin dei conti, qualcosa che cercasse di ridare attraverso un thriller romanzato quell’ordine e quella scrittura che spesso – come dice Sottile nell’intervista – la dimensione “pirandelliana” della giustizia e della sua tele-rappresentazione non ottiene, portando sull’altare dell’opinione pubblica molte, troppe versioni di un accaduto, esasperandone toni e contenuti, inseguendo un orco cattivo che in moltissime situazioni, ultimamente, resta solo un angoscioso fantasma che si aggira e che le patrie galere non avranno mai l’onore di avere fra i propri commensali. La letteratura noir, insomma, come ritorno agli ingredienti di quella meccanica classica del crimine che né gli apparati di controllo, né a maggior ragione la tentacolarità delle speculazioni ipermediatiche, riescono a ottenere: la razionalità di un impegno per la verità, di una ricognizione dei fatti, la lotta per il bene, il rischio intemerato di chi indaga, l’isolamento e la carcerazione finale di chi ha intaccato così tragicamente la serenità collettiva e le formule del diritto.
Non è un caso, insomma, che Cruel sia nel libro il nome di un magazine-cenacolo costruito intorno alla figura di un ambiguo psichiatra-direttore e che tutte le vicende attraversino le vite dei redattori che ogni settimana devono portare in edicola scoop sensazionali e copertine scandalistiche, delitti senza pace e mostri in libertà. Come a dire che, nell’infliggere dolore, sono implicate anche quella perfida ansia commerciale e un’inqualificabile immoralità di chi gestisce l’immagine stessa del personaggio che delinque, le sue “gesta”, il sangue che versa, le paure che innesca, amplificati, tutti questi fattori, da chi, alla fine, ne diventa se non il creatore, il complice indefesso. Ma col lato funesto dell’anima non si scherza, e ogni esperimento conduce a sicuro fallimento…
Con una scrittura rotonda e invogliante Sottile ci conduce per mano fra scorci romani nei quali, urbanisticamente, ci si può ritrovare con facilità, dietro le cui ombre o raggianti solarità paesaggistiche il Male, quello vero, non smette di attecchire, e di diventare moneta di scambio non solo con le solitudini e gli anfratti della nostra psiche, ma con quel mercato del terrore che ci vuole sempre spaventati, protetti e disinformati, soprattutto quando sembra esserci un nemico nascosto e comune da combattere. Al di là di colpi di scena e pagine di suspense su cui l’autore non sembra essersi speso particolarmente, per raggiungere una tessitura fatta meno di “brividi” e più di rimandi, il nodo interessante del libro sembra essere proprio questo: arrivare alla fonte vera di un sacrificio, quella alle cui gocce “rosse” si abbevera il tetro identikit che campeggia sotto il titolo. Quanto c’è di noi nella cattura di un pazzo omicida? Quanto siamo veramente disposti ad ascoltare le voragini che ci si aprono dentro? Quanto siamo ancora pronti a verificare storie, vissuti, urgenze senza l’assillo delle vendite e dei dettagli morbosi che sembrano quasi “patinare” gli orrori e allontanarli da noi, degni rappresentanti della cosiddetta Normalità.
Il libro, scritto dal protagonista di “Quarto Grado”, spinge a farsi interpretare come la falsa coscienza, lo j’accuse contro tutti quei leader mainstream che rattoppano l’insieme di un caso di violenza attraverso pezzetti di intercettazioni, telefonate in diretta di parenti delle vittime, pseudo-reportage dalle zone dell’omicidio in cui si va a chiedere opinioni pure a vicini e negozianti, ciurlando nel manico per ore, giorni, settimane, spaccando il capello in 400 parti, facendo quasi degli interrogatori incalzanti a chi sembra sappia qualcosa e viene coinvolto nei collegamenti, con tutto un materiale giudiziario preso o anticipato dalle udienze, che ne risulta così irrimediabilmente decontestualizzato. Cita in esergo Sottile la frase di Francis Quarles: “La rabbia può nutrirsi di te per un’ora, ma non giacere per una notte; la continuazione della rabbia è l’odio, la continuazione dell’odio diventa cattiveria”. Chissà, forse la continuazione della spettacolarizzazione dell’odio fatta dai Grandguignol un tanto al chilo di cui son pieni oggi i giornali e il piccolo schermo, è la tana della vera crudeltà…
Salvo Sottile, giornalista e scrittore, è nato a Palermo nel 1973. Nel 1992 Mentana lo assume al TG5 come corrispondente da Palermo e nel 1994 diviene giornalista professionista. Sue le storiche dirette sui grandi processi di mafia e sulle stragi in cui morirono i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Nel 2003, dopo undici anni, Salvo Sottile lascia Mediaset per approdare a Sky Italia ed essere il volto del primo telegiornale all news italiano Sky TG 24. A chiamarlo è Emilio Carelli, ex vicedirettore del Tg5. Nel 2005 il ritorno a Mediaset: Carlo Rossella, subentrato come direttore ad Enrico Mentana, lo richiama per condurre il Tg5 Mattina e in seguito il Tg5 della notte con la rassegna stampa. Il 2 luglio 2013, alla vigilia della presentazione dei palinsesti Mediaset 2014, il giornalista dopo 21 anni in azienda, lascia Mediaset per dei contrasti con la direzione generale dell'informazione. Ha condotto, tra gli altri, i programmi di cronaca nera “Quarto grado” su Retequattro, “Quinta Colonna” su Canale 5 e “Linea gialla” su La7. Ha pubblicato "Maqueda" (Baldini Castoldi Dalai, 2007) e "Più scuro di mezzanotte" (Sperling e Kupfer, 2009).
Salvo Sottile “Cruel” (Mondadori, pagg. 221, euro 17)