Cesare Garboli, il critico commemorato al Gabinetto Vieusseux di Firenze

Cesare Garboli
di Andrea Velardi
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Sabato 13 Ottobre 2018, 11:13 - Ultimo aggiornamento: 11:57
Oggi 13 ottobre alle ore 17 presso Palazzo Strozzi, Sala Ferri, a cura del Gabinetto Vieusseux, prestigiosa istituzione culturale della città di Firenze, si terrà la commemorazione di Cesare Garboli, uno dei più grandi critici letterari della storia italiana recente, presieduta dalla poetessa Alba Donati, instancabile, creativa, primo Presidente donna della istituzione, con interventi di Giorgio Amitrano e Emanuele Trevi, che hanno condiviso con lui una parte della loro vita, letture di Toni Servillo e di quel Carlo Cecchi con cui Garboli  ha condiviso la stesura dei due «Meridiani» dedicati a Elsa Morante, punto di riferimento della poetica critica di Gaerboli, operazione che ha generato una profonda amicizia e una fusione di interessi attorno alla comune passione per Shakespeare e Molière. Partecipa anche Rosetta Loy, la scrittrice che è stata più amica del temibile, raffinato, folgorante, generosissimo saggista, autrice di un libro recente di ricordi dal titolo «Cesare», Einaudi.
 
Il 17 dicembre  Garboli avrebbe compiuto 90 anni. L’incontro, nato da un’idea di Andrea Tagliasacchi e Rosanna Bisordi, si incentrerà sullo straordinario lavoro del Garboli critico, ma anche le sue furie civili, la   ‘fuga’ nella casa di Vado di Camaiore, in provincia di Viareggio, nel 1978, anno della morte di Moro. Sembrava «una capricciosa e imprevedibile alternanza di ‘umori’, quasi una sorta di schizofrenia» racconta Rosetta Loy, ma oggi possiamo interpretare come atto di lungimiranza la sua scelta di  «abbandonare la vita pubblica per dedicare tutta la sua energia ai valori di una cultura minacciata da ogni lato». Non era la prima decisione fuori dal comune di questo inimitabile amante della letteratura. Dopo avere collaborato con Mario Soldati per la televisione, nel 1972 aveva abbandonato la cattedra all’Università di Macerata per tornare a lavorare con la Mondadori, sul Molière entrato «quasi di soppiatto» nella sua vita «quando nel 1968 gli era stata chiesta la traduzione di “Le Tartuffe ou l’Imposteur”», che riempie le giornate e le peregrinazioni del soggiorno parigino dove gli dedica attenzioni superiori finanche all’amatissimo Chateaubriand.
 
Nel 1984 escono i «Penna Papers» prova della straordinaria consonanza e familiarità quel poeta, voce  stupefacente, essenziale, antica, libera, greca. Natalino Sapegno lo invita a fare parte della giuria del Premio Viareggio, di cui viene nominato presidente nel 1996, lui che era riuscito a diffondere la convinzione che la Versilia, col suo mito vacanziero e balnerare,  l’aveva inventata D' Annunzio nell’ «Alcyone», mentre a inventare la Versilia era stato lo stesso Garboli, critico visionario per interposto scrittore, come solo i grandi letterati sanno fare.  Dopo i «Meridiani» della Morante, escono gli «Scritti servili» (1989) sul  « genio istrionico di Longhi, e la sua esattezza nel fondere il reale e l’immaginario; la disumanità del desiderio e la perversione saturnina di Penna; la concordanza di pensiero e di viscere nella Ginzburg; le metamorfosi di Elsa Morante». Segue la raccolta «Falbalas. Immagini del ‘900» dedicata al « rovello intellettuale di Calvino, quello viscerale della Morante», alle «le idee coatte di Testori, l’oscurità e la chiarezza di Fortini... Nel suo viaggio per l’effimero, il tempo incontra, di tanto in tanto, degli ostacoli, fa delle piccole grinze, e ciascuna di queste grinze è uno degli articoli».
 
Segue il Meridiano di un Giovanni Pascoli molto più garboliano che pascoliano in cui viene ribaltato il ritratto tetro e liceale del poeta di «Myricae» e restituito un viaggio intrigante in una poesia che ha le tinte e i toni di un giallo, «dove s'incontra spesso un misterioso assassino senza nome e senza volto». La fedeltà a Mario Soldati riverbera nell’edizione delle Opere dello scrittore fiorentino per Rizzoli nel 1991.  La passione civile emerge in pienezza nella raccolta di articoli e recensioni del 2001 dal titolo «Ricordi tristi e civili», Einaudi. Nel 2002  esce «Pianura proibita» dove  si rivela l’intima, imprescindibile connessione tra biografia e opera letteraria che ha animato tutta la sua passione critica: «Sono stato accusato di privilegiare, fra gli autori del Novecento, soprattutto gli scrittori o i critici che ho frequentato intimamente di persona, da Roberto Longhi a Elsa Morante, da Soldati a Natalia Ginzburg, da Penna a Delfini. È un’accusa che non mi dispiace. Essa colpisce, senza volerlo, l’intrico piú nodoso, la radice piú interrata del mio modo di esercitare la critica: il bisogno di scrutare nell’espressione di uno scrittore .. le tracce lasciate dopo il passaggio da un’infezione misteriosa, da un male inspiegabile che ha trovato nella creatività letteraria la sola possibilità di cura e di guarigione».
 
Rosetta Loy è autrice di alcuni tra i migliori romanzi della stagione contemporanea della narrativa, «All'insaputa della notte», «Le strade di polvere», «Cioccolata da Hanselmann», «Nero è l'albero dei ricordi, azzurra l'aria». Cesare Gaborli ha definito lo stile di Rosetta, per la pubblicazione nel 1987 di «Le strade di polvere» come «rapido, scarno, essenziale, ma decisamente concreto». Loy ci ricorda «l’onesta e integrità intellettuale assoluta di Cesare, di cui solo ora apprezzo la grandezza. Aveva una lungimiranza straordinaria, una intelligenza folgorante che lo rendeva instabile, sensibile alle offese, suscettibile.  Non avrebbe tradito la sua idea per nessuna ragione. Rispetto ai libri io e lui avevamo interessi diversi, io narrativo e lui conoscitivo. In genere aveva sempre ragione lui sui giudizi. Amava la narrativa, ma non sarebbe potuto essere uno scrittore  perché avrebbe dovuto liberarsi della sua criticità, anche se ogni tanto racconta cose di sé in modo mirabile. Ho ammirato la sua pazienza nel leggere, mi faceva delle critiche violentissime e io mi arrabbiavo, ma siamo presuntuosi, soprattutto se attaccati in prima persona e lui invece aveva ragione. Gli devo moltissimo. L’ho capito solo col tempo. Il libro su cui abbiamo discusso di più è stato “Le strade di polvere”, quello che mi ha aperto la strada al successo».
 
Emanuele Trevi ricorda come è stato fondamentale conoscere Garboli negli anni della formazione, all’interno di «un rapporto di grande incoraggiamento. Lui era molto umorale, aveva un aspetto collerico, temibile, ma era di una umanità molto generosa e particolare, non creava delle ferite, dava consigli in modo disinteressato. Si sapeva che poteva provocare, avere litigi accesi ma nella consapevolezza della grandezza di una persona con cui valeva la pena discutere. Ho avuto la fortuna di conoscere due persone che non si amavano molto: Garboli e Citati. Ho potuto tenere i piedi in due staffe, con persone capaci di pura amicizia». Alla domanda sui libri che hanno condiviso e che li hanno diviso risponde: «Domanda importante questa. Lui mi rimproverava di non avere mai approfondito con degli scrittori che lui amava molto come Mario Soldati, sul quale aveva ragione e io infatti l’ho apprezzato molto di più. Ma sono tra quelli che non amano “La Storia” della Morante, mentre il suo rapporto con questa scrittrice passa anche per quel libro. Le diatribe erano sul contemporaneo, i classici dividono meno. Per esempio io ero interessato al gruppo ’63, a Manganelli che lui stimava di meno, perché secondo lui quello era atteggiamento cerebrale , anche se poi ha scritto un libro con Manganelli. Ma Cesare non amava la letteratura tutta cervello, tutta scrittura. Amava la letteratura che si incastrava con la vita».
 
Parla indirettamente di Garboli anche il seducente libro di Sandra Petrignani, «La corsara. Ritratto di Natalia Ginzburg» (Neri Pozza), finalista al Premio Strega, vincitore del Premio Dessì e dell’internazionale The Bridge che la porta adesso in America. Petrignani racconta il rapporto simbiotico con tra Garboli e la Ginzburg ritratta nella prefazione a «Caro Michele» come le «donne tutte d’un pezzo, il passo abituato alle lunghe marce, il busto eretto sotto il carico di masserizie e di figli». Rivela  il suo ruolo cruciale nella nascita di «Lessico famigliare», «un altro che capisce se un romanzo “c’è” già prima di leggerlo, “dal profumo che emana“ anche solo una pagina, un’idea …. Natalia l’idea di Lessico la coltiva dall’infanzia, quando il buffo linguaggio che circola in famiglia le fa venire voglia di mettere tutti dentro una storia con le cose che dicono». Garboli scrive della Ginzburg nella prefazione ai Meridiani che «quanto alla famiglia, dopo Lessico, la scrittrice non smetterà più di sventrarla, di farla a pezzi con gioia non meno selvaggia e tribale di quella spesa a consacrarla». Usa la mente, Natalia, come fosse l’intelligenza delle “viscere”». Petrignani ci racconta di aver visto le foto della casa di Camaiore e avere scovato, tra le tante che ritraggono Garboli bello e anziano in poltrona, una foto di Natalia bambina “scugnizzetta”, che non le hanno permesso di pubblicare. Ma questa scoperta le ha dato la misura della grande amicizia di questa coppia, unica per potere editoriale e passione letteraria. Confermando quanto la frenetica e compulsiva voglia di scrivere sui libri degli altri di Cesare Garboli provenisse da un interesse profondo per la biografia, per la vita che fluiscono dentro e al di qua della scrittura.
 
 
 
 
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