Il segreto del primo Bruto, l’etrusco che inventò Roma

Il segreto del primo Bruto, l’etrusco che inventò Roma
di Laura Larcan
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Domenica 8 Luglio 2018, 18:20 - Ultimo aggiornamento: 11 Luglio, 23:25
«Tu quoque, Brute. Anche tu, Bruto, figlio mio». La congiura, le ventitrè pugnalate, la morte di Cesare. La storia è nota. Anche troppo. È tempo di retroscena, di significati nascosti, di casi da risolvere. Date a Bruto, allora, quel che è di Bruto. Il destino di un nome, la rivincita di un uomo etrusco, la storia più autentica che affonda le radici nel mito. Perché Marco Giunio Bruto fu coinvolto nell'assassinio del genitore adottivo tiranno? La risposta è tutta ne Il segreto di Bruto, il nuovo libro del giornalista Raffaele Alliegro (Edizioni Spartaco), romanzo storico - la Roma antica sullo sfondo - di efficacia quasi cinematografica, tanto sono nitide, dinamiche, evocative le sequenze delle scene e dei dialoghi.

Attenzione allora: il protagonista è un altro Bruto, quello forse meno famoso, vissuto cinque secoli prima delle Idi di Marzo del 44 a.C., che ha giocato un ruolo chiave nella fine della monarchia. Alliegro, infatti, ricostruisce la vicenda umana di Lucio Giunio Bruto, nipote adottivo di Tarquinio il Superbo, l'ultimo dei tre re etruschi di Roma. Sarà Bruto a tramarne la cacciata, a fondare la Repubblica nel 509 a.C. e divenire primo console di Roma. Per tutta la vita ha dovuto fingersi stupido per sopravvivere a quel parente offuscato dalla collera, che gli aveva ucciso il padre e il fratello. La madre stessa ordì la messinscena. E il nome Bruto, non a caso, doveva ricordare a Tarquinio quella stupidità.

Ecco il segreto di Bruto che Alliegro svela attraverso un'indagine scrupolosa che inanella personaggi reali e fatti con una freschezza narrativa, senza scadere in eccessivi accademismi. Lì dove emerge la piega di un'invenzione, Alliegro sa restituirne la coerenza, non foss'altro per i tanti sopralluoghi ai siti archeologici legati agli accadimenti, che Alliegro ha svolto. Uno su tutti, l'antica città di Gabii (residenza dei re Tarquini). Colpisce soprattutto l'incontro ravvicinato con Lucrezia, suicida per onore, dopo l'oltraggio dello stupro subito da parte di uno dei figli del re. E nella finta, illusionistica, stupidità, Bruto guidò la congiura, pianificando il futuro nel segno della repubblica (sacrificò persino i due figli, che fece decapitare, colpevoli di aver tramato contro la res publica). La parabola umana, durata trent'anni, si concluderà in quel fatidico 509 a.C. quando lo stesso Bruto morirà in battaglia. Ma c'è un finale. E in questa indagine storica Alliegro si diverte a regalare un finale ad effetto che fa luce sulla morte di Cesare. Chi avrebbe dovuto raccogliere il testimone del primo Bruto? Eccolo il destino di un nome. Con un salto temporale di cinquecento anni, l'altro Bruto viene chiamato dai congiurati perché rendesse onore al suo antenato. «Svegliati, Bruto». Cesare entra nella Curia. E il destino si compie.
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