Alberto Moravia, quelle lettere che registrano dubbi, progressi e fallimenti

Alberto Moravia, quelle lettere che registrano dubbi, progressi e fallimenti
di Renato Minore
3 Minuti di Lettura
Sabato 21 Novembre 2015, 09:48 - Ultimo aggiornamento: 9 Novembre, 12:41
Poco più che adolescente (la prima lettera è del 1926 e lui ha diciannove anni), confessa i suoi dubbi, i progressi e i fallimenti in una vita ricca e tormentata: «Voglio finire il romanzo prima dell’anno nuovo, ma credo che non ci riuscirò perché dopo averlo finito, mi toccherà ricominciare e trasformare la prima parte»; «l’ispirazione è come un raccolto minacciato da mille guai che bisogna mietere».



Vuole vivere e scrivere, fuggire le abitudini mortifere, rivolgersi a tutte quelle scelte negategli dalla malattia, ha «furioso desiderio di fare qualche pazzia» e di imparare «non solo dai libri». Per esperienza maturata però sui libri, sa già che «l’amour comme toute autre chose de cette vie n’est rien moins tragique».



Lettere d’amicizia e di viaggio, lettere d’amore e di crescita intellettuale, quasi un racconto in tempo reale del percorso di formazione di un grande scrittore, alle prese con "Gli indifferenti": la sua scrittura prima, la sua ricezione poi, con le conseguenze di un successo clamoroso e precoce, «incendiario» rispetto al «breve passato» di un giovane che si trova a condurre parallelamente due vite, «quella vissuta e quella espressiva».



Sono le 154 lettere di Alberto Moravia ora raccolte (“Se è questa la giovinezza vorrei che passasse presto”, Bompiani, 418 pagine, 22 euro, da domani in libreria) che vanno dal 1926 al 1940, con Moravia appena sposato con la Morante, nel ritiro di Capri che scrive a Malaparte e Vigolo. Un epistolario che si aggiunge a quello con la zia Amelia Rosselli dedicato agli anni immediatamente precedenti e illumina la biografia del primo Moravia con documenti essenziali e materiale davvero insostituibile.



Per parlare del proprio lavoro letterario, di viaggi, di libri, di pene d’amore, molti sono gli interlocutori, Umberto Morra, Guglielmo Alberti, Andrea Caffi, la pittrice svizzera Lélo Fiaux, Bernard Berenson, il critico Pietro Pancrazi cui Moravia si rivolge per ottenere una collaborazione al “Corriere della Sera” in vista del matrimonio, poi sfumato, con Silvia Piccolomini. E ancora Carlo Levi, Nicola Chiaromonte, Giuseppe Prezzolini, Mario Pannunzio, Dino Terra.



«Sono un cattivo epistolografo e non ammetto di far per lettera quelle confidenze che non farei a voce», scrive a Umberto Morra che per lui, fin dal primo incontro ad Assisi nel 1926, è una guida intellettuale e umana a cui affida tra l’altro (nelle lettere che anticipiamo) le considerazioni sugli “Indifferenti” all’indomani della pubblicazione e la frustrazione e la ricerca legate al secondo romanzo, “Le ambizioni sbagliate”, dal tormentato percorso espressivo, tra dubbi, laceranti afasie correzioni e continue limature.



Ma non si può che essere d’accordo con Alessandra Granderis che ha curato l’epistolario: quelle di “Se è questa la giovinezza vorrei che passasse presto” sono lettere “vere”, di una verità intima e personale condivisa solo da chi è il destinatario, non hanno alcuna progettualità retorica per lasciare un’immagine di sé filtrata dalla letteratura. La “verità” di chi così apre il suo animo ad Andrea Caffi, l’undici luglio 1927: «La più grande precarietà è in ogni mia azione, vivo alla giornata e una volta la settimana almeno sono, è terribile non aver alcun appetito non essere feroce e certo nulla è più ripugnante di certe mie debolezze femminili direi quasi masochistiche».
© RIPRODUZIONE RISERVATA