Bernabè: la mia rivoluzione
al Palaexpò

Franco Bernabè
di Simona Antonucci
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Martedì 15 Aprile 2014, 14:25 - Ultimo aggiornamento: 16 Aprile, 09:24
Se si continuano a percorrere le strade del passato non si arriva da nessuna parte. Anzi, si rischia di chiudere. Va riprogettato tutto, e subito, in termini innovativi. Il progetto. Senza lasciarsi condizionare da modelli creati in determinati momenti storici e sostenuti da condizioni economiche che ormai non esistono più». Con poche e sentite parole Franco Bernabè, nuovo presidente del Palaexpo, ritrae la situazione del Palazzo delle Esposizioni, delle Scuderie del Quirinale e del sistema museale romano. Smonta e ricostruisce: «Bisogna ripensare il ruolo di queste istituzioni, immaginarle in modo unitario e reinventare il rapporto con i privati. I soldi pubblici sono in diminuzione. E non credo che ci possa essere una svolta in tempi brevi. Quindi bisogna innovare, dando vita a coordinamenti e a nuove sinergie».



Sta annunciando la nascita di una Fondazione che accorperà il Palaexpo e Macro?

«Sto annunciando la nascita di un progetto che dovrà mettere in collegamento le attività comunali. Per poi lavorare a un ponte con le strutture statali. Adesso esiste l’Azienda, il Macro e la Pelanda, e poi le gallerie comunali di via Crispi... Che senso ha? Ognuna di queste realtà assorbe risorse pubbliche che comunque non bastano. Il Macro rischia di chiudere, noi dovremmo cercare di sopravvivere con la metà dei finanziamenti. Impossibile. Presto dovremo realizzare un nuovo contenitore con una veste giuridica che garantisca certezze nella governance, per poter indire una gara con modalità trasparenti e attirare privati».



A che punto è il piano?

«La veste giuridica è fondamentale, ma deve essere fatta su misura per un progetto ed è da lì che sono partito. Il progetto prevede la ridefinizione delle identità dei diversi musei. E soltanto un coordinamento può consentire la specializzazione dei vari luoghi. Il Macro ha una forte vocazione per il contemporaneo, la Pelanda per la ricerca. Le Scuderie sono il contenitore per eccellenza degli eventi, dei Maestri di tutti i tempi. Il Palazzo va orientato diversamente».



Una rivoluzione al Palazzo?

«La sede di via Nazionale finora ha ospitato un po’ di tutto. Manterremo la varietà, ma ci dedicheremo soprattutto ai grandi temi di carattere divulgativo, storici e scientifici. Per esempio, la mostra sui numeri che faremo in autunno. Consolidando i rapporti con i musei delle università e con i centri di ricerca. Terremo un piede nel contemporaneo introducendo nuovi segni. Mi imbarazza un po’ citare Digital Life, la rassegna di RomaEuropa che ho molto sostenuto quando ero a Telecom. Non è escluso che potrò coinvolgerli. Del resto, il Palazzo nasce come esperienza innovativa per la contemporaneità. Però nel frattempo sono stati aperti Maxxi e Macro. Quindi andava ridefinita l’identità del luogo».



Un’impronta multimediale?

«Sì. A seconda del tema, andrà potenziata l’attività di convegni, incontri, proiezioni. Il palazzo deve diventare più vivo, un posto dove la gente viene perché sa che troverà qualcosa di speciale».



Un grande disegno, ma chi lo finanzia? Il Palaexpo ha perso i 4 milioni dell’ex presidente Emmanuele Emanuele e ora rischia veder dimezzati i fondi del Comune.

«Rischiamo di passare da 15 milioni a... La metà. Per questo va creata immediatamente la veste giuridica di un nuovo organismo che consenta ai privati di contribuire, in modo trasparente. La mia sfida invoca un senso di mobilitazione. Il Sindaco mi ha garantito di ripristinare un finanziamento, almeno accettabile. E di sostenere un progetto di coordinamento.

Il ministro Franceschini è giunto alle mie stesse conclusioni e quindi è disponibile a creare un tavolo che raccolga anche le istituzioni statali, come la Gnam, per esempio, o il Maxxi. Il resto lo dovranno fare i privati. Ultimato il progetto, e definita la veste giuridica, lavoreremo per una gara internazionale che consenta di creare le condizioni perché un finanziamento privato possa contribuire a sostenere e a rilanciare l’attività».



Esiste un modello di riferimento?

«A Roma sì. La Fondazione Musica per Roma, per esempio. Collegata tramite cda alla Fondazione Cinema per Roma e a Santa Cecilia».



Quindi l’ipotesi Fondazione al momento è la più concreta?

«È concreta».



Un’ipotesi di Fondazione che assomiglia molto a quella studiata a suo tempo da Emmanuele Emanuele. Si sta pensando a un riavvicinamento?

«É sicuramente un interlocutore. E ha la visione giusta dei problemi legati all’attività culturale. I meccanismi di coinvolgimento dei privati dovranno essere trasparenti. E condivisi».



L’esperienza del Mart di Rovereto.

«Due i punti fondamentali. Prima di tutto, l’indipendenza dalla politica. E poi la collaborazione con i privati: i depositi dei collezionisti hanno consentito al museo di vivere a lunga scadenza. Al Macro dovrà funzionare così».



Perché ha accettato? Che cosa lo ha spinto a buttarsi in questa sfida?

«Senso civico? Del dovere? Ho avuto tanto dal mio Paese. Cerco di restituire almeno una parte. Mi auguro di riuscire a coagulare le forze positive per far crescere la città. E intorno a me ho sentito molta voglia di fare».
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