Sono riaffiorati a sorpresa. Tasselli di mosaici neri combinati col bianco e il rosso, a disegnare motivi astratti intrecciati a figure vegetali, forse marine. Piccole tracce, poi gradualmente, sotto la mano esperta delle restauratrici, vaste porzioni pavimentali. Uno spettacolo decorativo che è riemerso dal fondo della vasca circolare di una delle due fontane gemelle “rustiche” famose come “Metae Sudantes”. Siamo nel cuore di Villa d’Este a Tivoli, gioiello rinascimentale alle porte di Roma, patrimonio dell’Unesco, che torna a far parlare del suo patrimonio. Se i musei chiudono al pubblico per l’emergenza Covid, non si fermano però i cantieri di restauro.
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È qui, infatti che il direttore Andrea Bruciati ha avviato un intervento di pulitura e risanamento del corredo delle fontane. «Abbiamo riportato alla luce le decorazioni originali del Cinquecento, che risalgono alla costruzione della Villa», racconta.
Perché un simile estro sul fondo della fontana? Per essere esaltato dall’effetto acquatico. «Dobbiamo immaginare che il fondo della fontana doveva presentarsi in origine, nel ‘500, completamente decorato con questi motivi policromi - dicono le restauratrici - e i colori venivano esaltati proprio dalla presenza dello specchio d’acqua sovrastante».
Alla luce di questo risultato si ipotizza che un motivo simile possa esistere anche nell’altra fontana gemella. «Le Mete Sudanti rappresentano un luogo eccezionale - riflette Andrea Bruciati - dove la sfida rinascimentale fra natura ed artificio si eleva ai massimi livelli, conferendo all’intervento un’aura quasi concettuale. L’intervento pertanto risulta di particolare interesse perché dimostra come la villa fosse stata concepita quale organismo complesso, dove l’ingegneria idraulica concorreva a creare un ambiente di grande naturalezza nonché di infinito e continuo stupore». Ippolito d’Este, c’è quasi da scommettere, ringrazia. Lui, figlio di Lucrezia Borgia, che della Villa fu ideatore e costruttore.