Rugby, al Museo delle Civiltà ultimi giorni dell'affascinante mostra sulle origini del gioco in Italia - Il fondo “Luca Raviele”

Rugby, al Museo delle Civiltà ultimi giorni dell'affascinante mostra sulle origini del gioco in Italia - Il fondo “Luca Raviele”
di Paolo Ricci Bitti
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Giovedì 22 Ottobre 2020, 23:50 - Ultimo aggiornamento: 13 Ottobre, 18:07

Dal celeberrimo manifesto dei tardofuturisti  Ottorino e Corrado Mancioli al primo manuale stampato in Italia nel 1928 (Il Rugby, Sonzogno editore), da una trascinante raccolta di album fotografici a rari memorabilia quali maglie, scarpe bullonate e cravatte: ultimo finesettimana per visitare la terza tappa del progetto “Lo sport museo del mondo”, che il Museo delle Civiltà di Roma, all'Eur, dedica allo studio e all’approfondimento storico e antropologico delle pratiche sportive, in questo caso alle origini e alla diffusione del rugby in Italia.

Quali furono i primi passi della palla ovale nella penisola? Chi furono i pionieri? Attraverso quali canali riuscì ad affermarsi come uno sport popolare e praticato, per brevi periodi, ovunque in Italia?

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Quando il destino va in meta: le parabole parallele del rugby, prima osteggiato e poi esaltato dal Fascismo quindi all'indice nel dopoguerra, e del pittore futurista romano Ottorino Mancioli

Sono ovali la prima e la terza tappa di questo progetto curato dallo storico e ricercatore Claudio Mancuso: la prima ci aveva fatto viaggiare nel tatuato mondo dei maori neozelandesi, ergo le radici e lo spirito degli All Blacks, la terza ci accompagna nell'ancora poco esplorata nascita del rugby in Italia che ricordiamo in breve.

Torino e Genova reclamano ma non hanno prove documentali: così il primato storico resta saldamente a Roma. Fino a pochi anni fa la prima citazione scritta che faceva testo sul rugby in Italia era quella del 1910 sul match Racing Paris-Servette Ginevra a Torino. A Genova si sostiene che la palla ovale venne portata dai marinai
inglesi già alla fine del 1800, ma tracce concrete non ne sono state ancora trovate. Il record di Torino cade attorno
al 2000 quando lo storico Marco Impiglia trova sul Messaggero del 20 marzo 1906: “Football-rugby a Roma in
piazza d'Armi”. È il match fra Bianchi e Neri del Club sportivo Virtus in cui giocano anche tre dei quattro
figli dei giornalisti-scrittori Matilde Serao ed Edoardo Scarfoglio. Ma Roma di recente ha allungato ancora grazie alla scoperta di un ritaglio del giornale Italia Sport del 28 gennaio 1901 che riporta la partita di football tra S.P.Lazio e Veloce al Motovelodromo Salario di via Isonzo: risultato 1-0 per la Lazio. Una meta a zero? Sì, perché il disegno che accompagna l'articolo (citato nel bel libro Calcio Romanus Sum d Piero Strabioni e ripreso dal monumental-enciclopedico sito www.LazioWiki.org) mostra una palla ovale, un calcio piazzato e le porte ad acca. Football-Rugby, insomma.

Un percorso a ritroso affascinante quello allora proposto fino al 25 ottobre al Museo delle Civiltà su cui basare l'attualità e il futuro del rugby italiano assurto ai fasti del Sei Nazioni e al boom dei praticanti.

La mostra prova a fornire una prima risposta agli interrogativi degli storici e degli appassionati grazie agli oggetti veramente di ogni genere del fondo “Luca Raviele”, donato al Museo delle Civiltà dalla famiglia del collezionista e studioso di storia del rugby prematuramente scomparso nel 2019. Siamo così arrivati al punto: visitare quale mostra di poche decine di metri quadrati è come guardare nel buco della serratura del portone del palazzo dei Cavalieri di Malta sull'Aventino. Dall'altra parte si vede, dopo una lunga carrellata su Roma, la Cupola di San Pietro, si vede un universo immenso che apre il cuore così come capita a chi ha potuto perlustrare la vastità e la profondità della collezione Raviele. Un tesoro che rischiava, diciamo pure che rischia, di restare ignoto e non alla portata del crescente numero di interessati alle vicende ovali intrecciate alla storia d'Italia.

Claudio Mancuso ha il merito di avere capito la portata e il valore di questo fondo e di avere avviato la titanica e vitale opera di cernita e di catalogazione.

Rasenta il miracolo il fatto che migliaia e migliaia di oggetti, fra i quali preziosi e rari libri, album, pubblicazioni e riviste, pepite d'oro per gli storici, abbiamo la possibilità di essere esaminati e sottratti all'oblìo. Questa mostra è solo un piccolo assaggio di un pasto pantagruelico: una ricchezza di materiali che ha ben pochi precedenti anche nel mondo anglosassone in cui il rugby è nato. L'Italia vanta già una rassegna unica e affascinante, di livello internazionale e già meta di ricercatori di tutto il mondo: è quella del Museo 'Fango e Sudore' allestita con smisurata passione da Corrado Mattoccia ad Artena (Roma) e ora si apre la possibilità di raddoppiare e approfondire l'offerta se sarà possibile reperire investimenti per conservare e ordinare la collezione Raviele, come hanno iniziato a fare Claudio Mancuso e il Museo delle Civiltà. Impressionante, in particolare, il comparto che l'appassionato scomparso aveva dedicato al Ventennio fascista durante il quale il rugby passò dall'iniziale ostracismo (un sport inglese! la federazione venne persino chiusa) all'esaltazione per volere di Achille Starace, il segretario del Partito Fascista che aveva firmato il più stentoreo e inderogabile ordine per i futuri cittadini dell'Impero: «Il giuoco del Rugby, sport da combattimento, deve essere praticato e largamente diffuso tra la gioventù fascista». Una fiammata, perché l'espansione obbligatoria del rugby si spense altrettanto perentoriamente. La seconda guerra mondiale ne accentuò il declino con il risultato che nel dopoguerra questo sport venne frettolosamente etichettato come una disciplina del Regime incontrando non poche difficoltà a riproporsi nonostante i valori educativi su cui venne fondato a metà dell'Ottocento in Inghilterra divenendo fin da allora comune pratica in tutte le scuole dalle primarie alle università. 

Paolo Ricci Bitti

Una parabola che il fondo Raviele aiuta decisamente a ricostruire, magari anche con foto tipo quella scattata prima del match Italia-Germania nel 1939 a Milano: gli ospiti tedeschi offrono il gagliardetto con la svastica nazista, gli azzurri replicano italianamente con un bel panettone.

Sarebbe infine doveroso che la stessa Federazione italiana rugby, tra un'iniziativa social e l'altra, dopo aver del tutto ignorato questa mostra, decidesse di sostenere questi percorsi di recupero e studio dei reperti alla base dello sport che è chiamata a diffondere e a rafforzare anche dal punto di vista culturale: i fondi non le mancano, le competenze si possono trovare.

Ci perdonerà, in chiusura, l'ottimo Claudio Mancuso, storico dell'età contemporanea e funzionario demoetnoantropologo del ministero per i Beni e le attività culturali e per il turismo, Museo delle Civiltà,
se ricordiamo un piccolo infortunio che del resto continua a registrarsi nonostante la crescente popolarità del rugby: proprio la locandina della mostra raffigura un giocatore di football americano e non di rugby.  Perdonato.

“Lo sport museo del mondo”

(ingresso 5 euro, gratuito per gli abbonati)

Museo delle Civiltà, telefono 06549521, email  mu-civ@beniculturali.it, piazzale Guglielmo Marconi, 14 Roma

apertro martedì, sabato e domenica dalle 8 alle 19. Lunedì, mercoledì e venerdì chiuso.

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