Rosa Luxemburg, l'aquila che voleva essere solo una cinciallegra

Rosa Luxemburg, l'aquila che voleva essere solo una cinciallegra
di Marino Freschi
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Giovedì 17 Gennaio 2019, 21:17
Ora è sparita anche la Rosa rossa, / non si sa dov’è sepolta.
Siccome ai poveri ha detto la verità, / i ricchi l’hanno spedita nell’aldilà.

Con questa lirica scarna, Bert Brecht celebrava Rosa Luxemburg, la rivoluzionaria morta esattamente cento anni fa, che Lenin aveva definito “un’aquila”. Lei in realtà si era paragonata a un altro volatile: «Sono destinata, lo so, a morire sulle barricate. Ma nell’intimo appartengo più alle cinciallegre che non ai compagni». Ed era veramente un’aquila del grande movimento rivoluzionario, una autentica pasionaria, e, nello stesso tempo una grande intellettuale, teorica della rivoluzione. Nella Polonia russa, quella più antisemita, lei ebrea frequentò il liceo femminile a Varsavia, risultando la prima alla maturità; le negarono la medaglia d’oro, perché iscritta ad associazioni marxiste, ovviamente clandestine. Riparò per studiare in Svizzera, che a quel tempo era il rifugio (non sempre ospitale) di tanti rivoluzionari, soprattutto russi, ma anche italiani (ricordate: “Addio, Lugano bella!"). Qualche anno più tardi, ci passò anche Mussolini quand’era ancora rosso e rivoluzionario.

Rosa era nata nel 1871 da genitori liberali anche se nella famiglia materna si contavano grandi rabbini (come in quella di Kafka). Dopo la laurea, ottenuta summa cum laude, si trasferì a Berlino impegnandosi nell’attività politica a discapito della vita privata, anche se proprio a Zurigo aveva conosciuto l’uomo della sua (breve) vita: Leo Jogiches, anche lui ebreo polacco-lituano. Per ottenere la cittadinanza accettò un matrimonio “bianco” con un giovane compagno tedesco. Intanto era diventata una personalità con idee sempre più precise come la tesi antinazionalista ostile alla richiesta del riscatto nazionale (acutamente avvertita nella Polonia divisa da più di un secolo tra Russia, Prussia e Austria-Ungheria). Nei congressi della Seconda Internazionale si scontrò con la maggioranza dei dirigenti socialisti, tra cui Lenin. Dai bolscevichi la separava anche la concezione del partito: Rosa era contraria alla concezione ‘leninista’ di un partito di quadri, quale avanguardia rivoluzionaria del proletariato. Per lei decisiva era la Massenbewegung, il movimento delle masse che avrebbe dovuto sostenere la rivoluzione. In seguito Stalin condannerà duramente questa impostazione "spontaneistica".

Durante la guerra, che fu appoggiata dai partiti socialisti malgrado il conclamato pacifismo, subito rinnegato, Rosa si schierò con la minoranza ostile al conflitto e con Karl Liebknecht fondò, a guerra appena finita, lo Spartakusbund, la Lega Spartachista. Furono due mesi straordinari in cui si giocò il destino della Germania e dell’Europa. Per qualche settimana, nelle piazze di Berlino e di tutta la Germania e nelle fabbriche si radunarono folle immense di lavoratori e di soldati per fondare "Libera Repubblica Tedesca", proclamata da Rosa e Karl. Il sognò durò poco. Il capo del governo, il socialista Ebert e il Generale Groener avevano stipulato il patto segreto per cui si dava man libera ai Corpi Franchi di reprimere qualsiasi moto rivoluzionario. La situazione si radicalizzava sempre più. Il primo gennaio del 1919 Rosa e Karl fondarono la KPD, il Partito Comunista Tedesco. Rosa era perplessa, ma le masse premevano per una soluzione rivoluzionaria. Intanto il ministro degli interni, il socialista Noske aveva richiamato a Berlino reggimenti fedeli. Di Rosa e di Karl si persero le tracce. L’ipotesi più accreditata è che furono massacrati il 15 gennaio dai volontari dei Corpi Franchi e gettati nel Landwehrkanal, non distante, da dove oggi sorge l’Ambasciata Italiana.

Questa è la triste storia di Rosa la rossa, l’aquila che avrebbe voluto essere solo una cinciallegra.
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