Addio a Romano Lazzeroni, maestro della linguistica storica

Addio a Romano Lazzeroni, maestro della linguistica storica
di Massimo Arcangeli
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Giovedì 9 Gennaio 2020, 21:58
Romano Lazzeroni, linguista e glottologo di riconosciuta fama, si è spento nella sua casa pisana a quasi 90 anni. Era nato a Pontedera il 28 ottobre 1930. Professore emerito, accademico dei Lincei, membro di moltissime associazioni di settore (è stato anche presidente della Società Italiana di Glottologia), ha ricevuto importanti premi e riconoscimenti nel corso della sua lunga carriera, anche per il suo impegno nel campo dell’insegnamento, ed è stato un maestro indiscusso nella linguistica storica. Controcorrente, e spesso in largo anticipo sui tempi, Lazzeroni non si è mai fatto stringere nella morsa di una linguistica e una filologia che potessero rivelarsi, ai suoi occhi, asettiche, asfittiche o anguste. Scrisse, in un libro del 1998, che la filologia andava intesa “non solo come studio dei testi – che pure restano la fonte principale – ma come ricerca di ogni elemento, anche archeologico e iconografico, atto a far luce sulla storia passata” (La cultura indoeuropea, Roma-Bari, Laterza, p. 10).

Fra un’indoeuropeistica dominata come pochi altri (esemplari gli studi sul vedico, sulle lingue dell’Italia antica, sulla morfologia verbale fra greco e indiano), in una dimensione storico-culturale la più ampia possibile, le acute indagini tipologiche e ricostruttive, le riflessioni sul mutamento linguistico, sui processi di standardizzazione, sui contatti – e sugli scontri – fra lingue, culture e varietà, le “dinamiche” e cangianti analisi geolinguistiche, Lazzeroni era sempre pronto a ripensare le sue posizioni, a rimettersi in discussione. In un saggio del 2005, di poche pagine (Lingua e condizione femminile, in Angela Ales Bello e Anna Maria Pezzella, a cura di, Il femminile tra Oriente e Occidente. Religioni, letteratura, storia, cultura, Roma, Città Nuova, 2005, pp. 211-218), perché il titolo scelto non apparisse suggerito dal “pregiudizio maschilista” che fosse il solo “comportamento linguistico femminile" a dover meritare una spiegazione, osservava: “Non è così o lo è solo in parte. Ciò che è da spiegare è la differenziazione linguistica che talvolta si riscontra fra i sessi per motivi che talvolta vedono le donne protagoniste e talvolta gli uomini". Di quegli uomini, in quanto linguisticamente diversi dalle donne (non da studiare per sottrazione, quindi, in quanto veicolo ed espressione di una varietà neutra rispetto alla quale far apparire ogni volta la varietà femminile come marcata), la storia è ancora in gran parte da fare.

Almeno altri due aspetti, in quel conciso ma denso contributo di Lazzeroni, venivano richiamati a mo’ di paradigma di un’intera vita spesa in altrettante direzioni di ricerca: per lui una lingua era un “sistema dinamico, variato non solo nel tempo e nello spazio, ma anche nella profondità sociale delle comunità dei parlanti”, e nessuna lingua che si debba intendere come appartenente (e pertinente) a una comunità può rinunciare alla presenza di varianti. Alcune costituiscono “indizi della condizione socioculturale dei parlanti”. Altre, “talvolta connesse con le prime”, rispecchiano stili discorsivi. Altre ancora, infine, sono “motivate diversamente”.
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