L'oro di Mussolini, il mistero irrisolto del tesoro scomparso

L'oro di Mussolini, il mistero irrisolto del tesoro scomparso
di Carlo Nordio
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Sabato 30 Settembre 2017, 08:47 - Ultimo aggiornamento: 2 Ottobre, 16:55
Il 29 Aprile 1957 si aprì, davanti alla Corte d'assise di Padova, un processo singolare per i tempi, i luoghi e le persone. I reati risalivano infatti a dodici anni prima, ed erano stati commessi a oltre trecento chilometri di distanza. Gli imputati erano in parte latitanti e in parte protetti dalla tanto vituperata immunità parlamentare. Quanto alle accuse, erano gravissime: omicidio plurimo premeditato e aggravato, peculato e altre cosucce minori. Tuttavia il processo diventò famoso non per le stragi che vi venivano rievocate, ma per il mistero di un tesoro scomparso: il cosiddetto Oro di Dongo.
L'antecedente era stato l'arresto di Mussolini, e quel che ne era seguito. Come è noto, il Duce fu fermato il 27 Aprile 1945 sulla piazza di Dongo, mentre scappava travestito da soldato tedesco. Con lui viaggiavano una quindicina di gerarchi, che furono sommariamente fucilati in riva al lago. Mussolini fu portato di notte - dopo varie peregrinazioni - nella casetta dei coniugi De Maria, nella vicina frazione di Bonzanigo. Da qui fu prelevato il giorno dopo dai partigiani del CLNAI , (il Comitato Liberazione Nazionale Alta Italia) e ucciso a mitragliate assieme a Claretta Petacci. Sui particolari di questa esecuzione fiorirono le leggende, alimentate dalle discordanti versioni dei protagonisti. Quella ufficiale, diffusa dal PCI, che a sparare fosse stato Walter Audisio, il colonello Valerio, è oggi praticamente abbandonata. Ma chiunque abbia materialmente esploso i colpi mortali, è certo che la condanna a morte del Duce fu decisa il 25 Aprile in un convento di Salesiani dai vertici del Comitato. Sandro Pertini, che ne faceva parte, fu su questo sempre chiaro e categorico. Ma torniamo al tesoro scomparso.
Mussolini portava con sé un paio di borse. Anche qui si lavorò di illazioni. Qualcuno sostenne che contenessero addirittura un carteggio con Churchill che avrebbe rivoluzionato la storia.

BIOGRAFIA
Martin Gilbert, l'autore della più documentata e monumentale biografia dello statista inglese non si degna nemmeno di parlarne, e si capisce. La sola idea che sir Winston abbia intrattenuto rapporti epistolari compromettenti con quello che chiamava lo sciacallo scondizolante ai piedi di Hitler è, fino a prova contraria, quantomeno azzardata. E' vero invece che le borse contenevano oro, assegni e banconote straniere. Ancora più cospicui erano i valori trasportai dagli altri gerarchi, nella colonna che seguiva i Duce. Pare ci fossero persino dei preziosi sottratti agli ebrei prima di esser spediti in Germania. Questo tesoro - dedotta qualche inevitabile ruberia - fu solo in parte inventariato dai membri della 52 brigata Garibaldi che avevano proceduto all'arresto: in particolare dal capitano Luigi CanaliNeri, e dalla sua fidanzata Giuseppina Tuissi Gianna. Entrambi erano di fede comunista, come la maggioranza dei garibaldini. Tuttavia, da buoni patrioti, insistettero affinchè i beni fossero consegnati alle autorità della Liberazione. Altri compagni, invece, premevano affinché tutto finisse al partito, per finanziarne la futura attività politica, o addirittura la rivoluzione.
Sta di fatto che il tesoro sparì, assieme al resto che i partigiani avevano recuperato dalle acque del lago, dove i tedeschi l'avevano gettato. E sparirono anche Bill, assassinato quasi subito, e Gianna, che incautamente ne aveva iniziato la ricerca. Poi furono uccisi altri testimoni. Tutti gli indizi portavano ai membri del Pci di Como, che si erano impadroniti del bottino e si erano disfatti dei cadaveri. Così nel 1947 la Giustizia militare aprì un'inchiesta, con le prime incriminazioni di questi figuri. E qui la tragedia diventò - per usare la nota espressione di Marx - una farsa. Ci furono ostacoli e cavilli di ogni tipo, con i quali non annoieremo il lettore. Alla fine dopo dieci anni, il processo finì a Padova, per legittima suspicione. Gli imputati erano diventati, quasi tutti, esponenti di spicco del Pci. Inutile ricordarne i nomi. Era uomini temprati dalle carceri fasciste e dalla lotta clandestina. Sapevano combattere e morire. Domandarsi oggi se, per ordine del partito, potessero anche uccidere dei compagni, è una oziosa e commovente puerilità.

IMPUTATI
Il dibattimento durò a lungo, con trentasette imputati, trecento testimoni, cinquanta parti offese, e la solita marea di avvocati. Fu condotto con pazienza e perizia da Augusto Zen, un presidente coraggioso che però non potè far miracoli, Sfilarono come testi personaggi illustri, da Ferruccio Parri, a Luigi Longo a Enrico Mattei. Alcuni si comportarono con arroganza. Uno di loro sibilò al Presidente: Ora vi conosciamo! Al che il magistrato rispose imperterrito: Anche noi. Altri furono reticenti; tutti comunque furono smemorati, e nessuno contribuì a far luce né sui delitti né tantomeno sul destino del tesoro. Durante un sopralluogo un giurato popolare ebbe un malore e finì in ospedale, dove morì suicida in circostanze poco chiare. Così il processo fu interrotto, e sarebbe dovuto ricominciare da zero. In realtà nessuno volle più occuparsene. Intervennero l'amnistia e, tanto per cambiare, la prescrizione. Alcuni imputati ritornarono trionfanti in Parlamento, altri restarono prudentemente all'estero, protetti dalla cortina di ferro.
Negli anni successivi, morti alcuni protagonisti, mitigati i furori e i timori del dopoguerra, quasi tutti i superstiti - tranne i compagni di provata fede - ammisero che il tesoro era finito in gran parte nelle casse del Partito Comunista. Massimo Caprara, allora segretario di Togliatti, specificò che il malloppo aveva finanziato, tra le altre iniziative, l'acquisto della sede di via delle Botteghe Oscure, il famoso Bottegone, plumbeo e anonimo come i volti dei gerarchi che allora lo governavano.
Naturalmente il PCI ha sempre negato la circostanza, che peraltro non gli ha portato fortuna. Dopo tangentopoli, l'edificio fu infatti venduto al capitalismo bancario, e successivamente destinato a più dinamiche e allegre funzioni. Nel 2015 diventò un supermercato alimentare. E, come fecero notare alcuni perfidi commentatori di destra, nemmeno della Coop.