Se ne va Robert Frank, il ragazzo con la Leica

Se ne va Robert Frank, il ragazzo con la Leica
di Nicolas Lozito
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Mercoledì 11 Settembre 2019, 09:53

Nel 2015, per definire la sua carriera, il New York Times Magazine gli dedicò la copertina e titolò: «Il più influente fotografo in vita». A Robert Frank, nato in Svizzera nel 1924 e morto lunedì in Canada, come annunciato sulle pagine del New York Times, a 94 anni è bastato un libro per raggiungere questo obiettivo: The Americans, pubblicato prima in Francia poi negli Stati Uniti nel 1958. Uno di quei libri di fotografia che non possono mancare nella collezione di qualsiasi appassionato. 83 scatti che raccontano il suo viaggio di due anni attraverso 48 Stati degli Usa con una Ford Business Coupe (così vecchia e usata da destare sospetti alla polizia che più volte lo ferma). Immagini insolite, totalmente fuori dai canoni dell'epoca, contrari ai principi di rigore e perfezione dettati da Cartier-Bresson e dagli altri maestri affermati nel secondo dopoguerra. 

Le foto di Robert Frank, tutte realizzate con una Leica 35 millimetri, sono sfocate, hanno tagli imprevedibili, a volte sembrano casuali. «Lascio a voi la scelta spiegava lui Le mie foto non hanno un inizio o una fine. Stanno nel mezzo». Eppure, in quel mezzo, con quella tecnica rifiutata sia da Magnum (che gli negò l'ingresso nell'associazione) sia dall'importante rivista Life (che non volle pubblicarne gli scatti), c'era una novità da quel momento in poi inarrestabile: la semplicità, la quotidiana normalità di un'America, e un Occidente, ingarbugliato e misto, ricco e povero, indaffarato e fannullone, sciatto e alla moda. Sullo stesso bus di New Orleans bianchi e neri, ma i neri sono in fondo, perfettamente separati, come mostra lo scatto scelto per la copertina del libro. On the road, come il suo viaggio e come il celebre libro della beat generation di Jack Kerouac, che per l'amico Frank aveva firmato l'introduzione a The Americans («Quella folle sensazione in America, quando il sole picchia forte sulle strade e ti arriva la musica di un jukebox o quella di un funerale che passa. È questo che ha catturato Robert Frank»). Con quelle foto, Frank da vita all'estetica dell'istantanea, anche se di istantanee non si tratta: in una foto c'è uno sguardo non filtrato, l'emozione di uno scorcio, poi ereditato dagli street photographer e arrivata fino a noi tramite internet e i social. «Con i libri Democrazia in America di Alexis de Tocqueville e La scena americana di Henry James, The Americans è una delle più importanti dimostrazioni di cosa sia fatta questa Nazione», come ha scritto negli Anni 70 il critico Gene Thorton.

Nato nel 1924 a Zurigo da una famiglia ebraica svizzero-tedesca, inizia a lavorare come assistente di Hermann Segesser e Michael Wolgensinger, e nel 1946 si autofinanzia e pubblica, curandone anche la grafica, il suo primo libro: 40 Fotos. Nel 1947 lascia l'Europa per arrivare come artista rifugiato negli Stati Uniti, a New York, dove a ventitré anni viene ingaggiato come fotografo di moda per la rivista Harper's Bazaar. Da New York parte per viaggi in Bolivia (1948) e in l'Europa, passando anche per l'Italia (1949). Walker Evans, celebre reporter dell'America della Grande depressione, suo maestro, lo spinge a chiedere una borsa di studio alla Fondazione Guggenheim, che rende possibile il giro per gli Stati Uniti. Dopo The Americans, si dedica al cinema: il suo primo film, Pull My Daisy, diretto insieme ad Alfred Leslie e narrato dalla voce di Kerouac, è considerato il primo film della corrente del New American Cinema. Prosegue negli anni Settanta con altri esperimenti cinematografici meno fortunati, per poi tornare, dopo un decennio, alla fotografia, ma molto diversa da quella per cui era diventato famoso: prova i collage, foto vecchie, fotogrammi, polaroid. Il suo libro The Lines of My Hand, del 1972, contiene una narrazione autobiografica, con immagini personali e della famiglia. A fine carriera decide di donare quasi tutti gli scatti, compresi le migliaia di foto fatte durante il suo tour on the road, alla National Gallery of Art.

La vita del fotografo viene sconvolta da due grandi tragedie: nel 1974 perde la figlia Andrea, che muore a vent'anni in un incidente stradale; e nel 1994, quando il figlio Pablo, malato di cancro, si suicida. Si sposa due volte, prima con Mary (madre dei suoi due figli), da cui si separa nel 1969, e poi con June Leaf, pittrice e scultrice, con cui vive a Manhattan fino agli ultimi giorni. Proprio nel 2015, in occasione della storia di copertina del New York Times Magazine, racconta un aneddoto che descrive una vita intera: «Mia madre mi chiedeva sempre: Ma perché fotografi sempre i poveri?; e io rispondevo: Non è vero, ma la mia simpatia era per le persone che fanno fatica, che lottano.

Non mi sono mai fidato di chi, invece, decide le regole». Ecco il perché di queste immagini iconiche nella loro semplicità: uno squarcio nella società ideale. Un fotografo che ha trasformato il mito americano in verità.

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